Congelata la riforma delle Banche popolari

Sabato 3 Dicembre 2016
Incidente di percorso per la riforma, varata dal governo nel marzo 2015, delle banche popolari. Il Consiglio di Stato ha sospeso in via cautelare e solo parzialmente la circolare Bankitalia che contiene le misure attuative per la trasformazione degli istituti in Spa. Il Consiglio di Stato ha rinviato a una prossima camera di consiglio la trattazione nel merito della questione, dopo che la Corte costituzionale si sarà pronunciata sulla legittimità della riforma. In particolare, secondo i giudici di Palazzo Spada, esistono «profili di non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale» nella parte in cui la circolare emanata da Palazzo Koch disciplina l'esclusione del diritto al rimborso.
«Appaiono sussistenti si legge nel dispositivo di sospensione la legittimazione e l'interesse al ricorso rispetto ai soci, in quanto i provvedimenti impugnati (e la disciplina legislativa sulla cui base sono stati adottati) incidono direttamente su prerogative relative allo status di socio della banca popolare, così presentando profili di immediata lesività». La riforma, attribuisce a Bankitalia il potere di limitare il diritto al rimborso delle azioni nel caso di recesso, anche a seguito di trasformazione o di esclusione del socio e in deroga alla legge, qualora sia necessario per assicurare la computabilità delle azioni nel patrimonio di vigilanza di prima categoria della banca.
Questa decisione potrebbe pesare sui conti di alcuni degli istituti coinvolti dalla riforma. La banca più a rischio è la Popolare di Bari, che delibererà sulla trasformazione in spa il prossimo 11 dicembre e ha fissato il valore di recesso a 7,5 euro per azione, attribuendo all'istituto una valutazione di 1,2 miliardi di euro, a multipli molto più alti delle altre banche quotate. I soci - se le limitazioni al diritto di recesso verranno ritenute illegittime - potrebbero chiedere in massa di uscire da un titolo illiquido. Al momento sono tre le popolari che hanno concluso la procedura di recesso: Ubi Banca, Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Tutti e tre gli istituti hanno limitato in modo drastico le richieste dei soci di lasciare la compagine sociale e di vedersi liquidate le azioni, come il codice civile avrebbe riconosciuto loro. L'istituto guidato da Victor Massiah, a fronte della richiesta di recesso da parte dei soci per un controvalore di 258 milioni di euro ha soddisfatto richieste solo per 13 milioni. La Popolare di Vicenza ha negato a tutti i soci richiedenti il diritto di recesso, peraltro esercitato solo su 271.339 azioni, per un controvalore di circa 1,7 milioni di euro. Stessa decisione è stata presa da Veneto Banca, che ha rifiutato il recesso a 219 soci, per un controvalore complessivo di circa 14,5 milioni di euro. Per il governo, lo stop della Consiglio di Stato rappresenta un problema. E fonti del Tesoro, pur puntualizzando che «l'impianto generale delle Legge non è in discussione», riconoscono che per il sistema bancario si tratta di un passaggio «non indolore». In Via XX Settembre, comunque, si confida in un rapido pronunciamento della Consulta «in modo da riformare la parte del provvedimento finita sotto osservazione». Occorre infatti ricordare che quattro articoli del Testo unico bancario sono stati modificati per mandare in pensione le vecchie banche popolari (10 interessate su 70) e trasformarle in Spa. E che la riforma non riguarda né le banche cooperative né le popolari minori, ma solo quelle con un attivo superiore agli 8 miliardi.
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