«Certi pm vedono ingerenze ovunque e non tengono conto del nostro lavoro»

Martedì 26 Settembre 2017
«Certi pm vedono ingerenze ovunque e non tengono conto del nostro lavoro»
Luigi Nicolais, ex ministro della Pubblica amministrazione ed ex presidente del Cnr, parte da una considerazione: «Prima o poi dovremmo chiederci se l'università deve essere un succedaneo della scuola media superiore oppure se è la fucina della classe dirigente del Paese, che ci rappresenterà all'estero. Invece in Italia un concorso vale un altro». Quindi Nicolais, uno dei massimi esperti al mondo nella produzione dei materiali compositi, rivede nell'inchiesta di Firenze sulla concorsopoli nelle cattedre di diritto tributario, una vicenda personale, che lo vede indagato a Napoli per abuso d'ufficio. «Io non ho letto le carte di Firenze, ma io sono stato vittima di un caso simile. Sono stato accusato di aver raccomandato un mio allievo per una borsa di studio, quando ho semplicemente indicato un giovane ricercatore molto brillante a un altro mio ex allievo che aveva bandito un concorso. Devo dire che in America mi avrebbero ringraziato, scritto una lettera per dirmi grazie professore per averci indicato le capacità di questo candidato. Invece ci ho guadagnato un avviso di garanzia».
Professore, sta dicendo che nell'inchiesta di Firenze non intravede reati?
«Non credo ci siano reati. La magistratura vede in questi casi ingerenze esterne contrarie alle leggi, non tenendo conto della peculiarità del lavoro di professore universitario. Il problema, casomai, è che, con le leggi attuali, la selezione universitaria viene trattata con un concorso analogo a quello che si farebbe alle Poste. Anzi, magari le Poste: come per qualunque dipendente pubblico».
Non sembra un bene?
«Non lo è, perché queste forme di selezione prescindono totalmente dalla tipologia del professore universitario. All'estero, io ho insegnato alle università diWashington e del Connecticut, quando si deve nominare un professore, associato o ordinario che sia, si procede soprattutto attraverso quelle che lì chiamano reccomendation, dove i massimi esperti del settore, i cosiddetti capiscuola esprimono il loro giudizio sulle qualità del ricercatore che è in lizza».
Dov'è la terzietà?
«Che in America un professore, se sbaglia a dare credito un candidato, perde la sua reputation, la sua credibilità»
Qual è la morale?
«Che da noi mancano i capiscuola. Spesso i titoli oggettivi non ci dicono se un docente sarà capace di creare un gruppo di lavoro e creare a sua volta una scuola. Nel sistema anglosassone i concorsi per professori sono ad personam, nel senso che si cercano persone in base non solo alle loro capacità, ma anche per le esperienze fatte, le scuole d'appartenenza e gli anni passati a contatti con un determinato maestro, il caposcuola».
Invece in Italia?
«Intanto c'è una legge, la Gelmini, nata per punire l'università e ridurre la sua autonomia. Si passa attraverso una serie di lunghe valutazioni: prima una nazionale, per l'abilitazione all'insegnamento, poi il concorso universitario aperto a tutti, anche a chi non è tagliato per quella determinata disciplina. Il tutto con tempi lunghissimi e senza poter chiamare, per esempio, qualcuno per chiara fama. In questo rientra la magistratura, che vede dappertutto ingerenze contrarie alle leggi oppure giudica in un modo non sempre esatto la consulenza professionale. Quando nel mondo anglosassone si richiedono ai docenti anche rapporti con le impresa».
E il problema del nepotismo?
«Questa è una deviazione del concetto di caposcuola. Ma un conto è cercare la deviazione per curarla, un altro è credere che chi si avvicina all'università, lo fa solo per trarne benefici personali. Così si butta solo il bambino con l'acqua sporca. Quando ci sono docenti che passano lì tutta la loro giornata anche a fronte di stipendi non adeguati».
Francesco Pacifico
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