Veronica, la cortigiana che ammaliò anche il re di Francia

Lunedì 9 Gennaio 2023 di Alberto Toso Fei
Veronica, la cortigiana che ammaliò anche il re di Francia

Se mai la cortigianeria veneziana del Cinquecento ha avuto un archetipo, questo archetipo ha un nome e un cognome: Veronica Franco, la cui fama di cortigiana, scrittrice, poetessa e musicista - già molto diffusa all’epoca - ha oltrepassato i secoli. Spregiudicata, avvenente, avventurosa, ebbe la casa continuamente frequentata - tra gli altri - anche da pittori, musicisti e letterati, ai quali concedeva i suoi favori in cambio di scritti e dibattiti di filosofia. Nel suo salotto si svolgevano concerti, non di rado diretti dal famoso organista di San Marco Girolamo Parabosco.
Ma tutto ciò non avvenne per un caso: fu frutto della sua volontà e, più ancora, di quella della madre Paola Fracassa, che le insegnò fin da bambina come utilizzare la propria bellezza e le pratiche del sesso, educandola al profitto col ricorso ad amicizie potenti. Fu sempre la madre a combinarle il matrimonio col ricco e anziano medico Paolo Panizza, che più tardi ottenne però l’annullamento dell’unione (affermando di non essere a conoscenza dell’attività di prostituta della moglie) disconoscendo anche il loro figlio, nato nel 1564. Veronica Franco aveva allora 18 anni: era nata il 25 marzo 1546 dalla Fracassa e da Francesco Franco. La coppia aveva altri figli nati da unioni diverse: Girolamo, Orazio e Serafino. La madre riuscì comunque a trasformarla in una cortigiana riconosciuta, due anni più tardi, ma la Franco ci mise del suo.
 

 iniziò a frequentare gli ambienti più influenti e potenti della città, si prodigò negli studi e si formò nelle arti e nella poesia, entrando qualche anno più tardi a far parte di uno dei circoli letterari più famosi della città. Ebbe nel frattempo altri figli.
Ben presto iniziò a essere conosciuta ben oltre i confini dello stato veneziano: nel 1574 il re di Francia Enrico III, dopo averle fatto visita volle portare con sé un ritratto della donna, la cui bellezza lo aveva ammaliato. Insomma la Franco aveva la capacità di miscelare con sapienza l’elevazione culturale alla mercificazione del suo corpo. Alcune sue composizioni poetiche e letterarie (tra le altre “Terze rime” e “Lettere familiari a diversi”) riscossero il plauso dei suoi contemporanei, e sono tutt’oggi degne di comparire in una qualsiasi antologia di letteratura del suo tempo.
Nel 1575, a seguito di alcuni disordini scoppiati a causa della pandemia di peste, subì il saccheggio della sua casa e l’anno successivo lasciò la città per scampare al morbo, portando con sé alcuni nipoti rimasti orfani. Fece ritorno nel 1577 ma tre anni più tardi fu incarcerata e condotta davanti agli inquisitori, accusata di praticare incantesimi, stregoneria, e mangiare carne di venerdì. Pur difendendosi brillantemente durante il processo, dovette la sua libertà alla testimonianza di personaggi illustri dei quali conosceva parecchi segreti.
Ne uscì assolta, ma rimase isolata e perdette molte delle sue ricchezze. Aveva allora 34 anni e decise di dare una svolta alla sua vita: in quello stesso anno, il 1580, fondò ai Carmini la “Casa del Soccorso”, con l’aiuto di alcuni patrizi, dove venivano accolte le cortigiane che volevano redimersi. Al suo interno, le donne trovavano ad aiutarle chi aveva vissuto la loro stessa vita, e ben poteva capire i sentimenti e la sofferenza che esse provavano: molte di loro si sposarono, presero i voti, andarono a lavorare presso qualche famiglia.
Nelle “Lettere familiari”, di quello steso anno, Veronica così scriveva a una madre che voleva avviare la figlia alla cortigianeria, nel tentativo di dissuaderla dai suoi propositi: “Troppo infelice cosa e troppo contraria al senso umano è l’obligar il corpo e l’industria di una tal servitù che spaventa solamente a pensarne. Darsi in preda di tanti, con rischio d’essere dispogliata, d’esere rubbata, d’esser uccisa, ch’un solo un dì ti toglie quanto con molti in molto tempo hai acquistato, con tant’altri pericoli d’ingiuria e d’infermità contagiose e spaventose; mangiar con l’altrui bocca, dormir con gli occhi altrui, muoversi secondo l’altrui desiderio, correndo in manifesto naufragio sempre della facoltà e della vita”. Morì a Venezia il 22 luglio 1591.

Ultimo aggiornamento: 16:14 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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