Quel genio sfortunato del matematico Niccolò Fontana Tartaglia

Lunedì 26 Giugno 2017 di Alberto Toso Fei
Illustrazione di Matteo Bergamelli
Non si può certo dire che la vita di Niccolò Fontana fosse cominciata sotto una buona stella. Nato a Brescia nel 1499 in una famiglia poverissima, a sei anni perdette il padre, che lasciò la famiglia nella miseria più nera. Il 19 febbraio 1512 ci si mise pure l'esercito francese, che durante il “Sacco di Brescia” inseguì le persone in fuga fin dentro il duomo, aggredendo donne e bambini. Niccolò, dodicenne, subì lesioni profonde alla mascella e al palato, che la madre tenne amorevolmente pulite per settimane con semplice acqua, non potendo permettersi alcun medicinale. Guarì, ma ne sortì una difficoltà a parlare che gli valse il soprannome di “Tartaglia” (balbuzie), che lui stessò utilizzò per firmare tutte le sue opere, oltre a una folta barba con cui coprì sempre le vistose cicatrici.

Malgrado ciò, e malgrado non potesse permettersi studi regolari, il suo straordinario talento per il calcolo e una intelligenza vivacissima lo spinsero a solcare i vertici della matematica, facendolo ricordare ancora oggi come uno dei primi risolutori delle equazioni algebriche di terzo grado e per essere il creatore di un triangolo numerico – il Triangolo di Tartaglia appunto – inserito in una sua opera del 1556, il “General trattato di numeri et misure”, e destinato a risolvere i quesiti di probabilità.

Ma la sua vita continuò a essere piena di alti e bassi; trasferitosi a Verona nel 1521 e successivamente a Venezia per insegnare matematica, ebbe una improvvisa notorietà quando accettò una pubblica “disfida” da parte del matematico Antonio Maria del Fiore, discepolo di Scipione Dal Ferro che vent'anni prima aveva già risolto le equazioni cubiche senza rivelarne pubblicamente il metodo. Nellatenzone gli sfidanti si sottoponevano vicendevolmente dei problemi matematici, depositandoli da un notaio e distribuendoli a dei testimoni. Tartaglia risolse tutti i quesiti posti da Fiore in due ore, mentre questi non ne risolse nessuno, e il successo di Fontana fu totale.

Era il 1534: questo fatto gli attirò le attenzioni di due altri matematici milanesi, Gerolamo Cardano e il suo allievo Ludovico Ferrari; il primo gli chiese di inserire in un libro le sue scoperte, ma Tartaglia rifiutò. Nel corso degli anni successivi Niccolò Fontana rivelò invece il segreto della formula a Cardano, con la promessa di non utilizzarlo; avendo trovato invece autonomamente la maniera di apportarvi delle migliorie, ed essendosi fatto passare degli appunti di Scipione Dal Ferro dallo sconfitto Fiore (che ebbe così la sua vendetta), Cardano si ritenne sciolto dal giuramento e inserì la risoluzione dell'equazione cubica in un'opera del 1545. Ancora oggila formula risolutiva dell'equazione di terzo grado è  chiamata per questo motivo di Cardano-Tartaglia.

Niccolò Fontana, che nel frattempo aveva tradotto per primo gli “Elementi” di Euclide e in più opere aveva trattato di balistica, aritmetica, geometria, algebra, statica, topografia, artiglieria, fortificazioni e tattica, non la prese bene; ma dovette soccombere a una nuova disfida lanciatagli da Ferrari a Milano nel 1548 in difesa del suo maestro. Tornato a Venezia, si dedicò alla messa a punto di sistemi ingegneristici e navali. Ne brevettò uno nel 1551, per recuperare navi affondate con l'ausilio di cordami e altre navi, che non sortì l'interesse sperato. Morì a Venezia il 13 dicembre 1557. E quel sistema, ingegnoso ed efficace, divenne in seguito “olandese”. La sfortuna si accanì su di lui anche post mortem.
Ultimo aggiornamento: 27 Giugno, 09:07 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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