Silvano, il duro del Piave rovinato
dalle donne e dalla cocaina

Lunedì 14 Novembre 2016 di Maurizio Dianese
Silvano Maritan
3
SAN DONA' DI PIAVE - Donne e coca. La cocaina lo ha portato in carcere mille volte, una donna lo ha dannato forse per sempre. Questa doppia coltellata al fidanzato della sua ex, infatti, rischia di farlo finire per il resto della sua vita dietro le sbarre, a meno che non riesca a dimostrare che si è trattato di legittima difesa. Lui, Silvano Maritan, sostiene di aver solo reagito a un'aggressione e di aver strappato dalle mani di Lovisetto il coltello con il quale lo ha ammazzato. Del resto, «non ho mai portato un coltello in vita mia e in questo periodo sarei stato un pazzo ad uscire di casa armato visti i continui controlli», avrebbe detto ai carabinieri che lo hanno arrestato. Certo è, però, che Maritan non aveva mai digerito che la sua ex si fosse messa, mentre lui era in carcere, con uno sbandato come Alessandro Lovisetto, un rapinatore da quattro soldi, non certo in grado di stargli alla pari come statura criminale.
 

 
Un delitto d'onore in stile vecchi tempi, dunque? Chissà. Fatto sta che è stata proprio lei, la sua ex, a telefonare alla figlia di Silvano Maritan e ad avvertirla che il padre aveva ucciso Lovisetto. Poi sono arrivati i carabinieri e Maritan, 70 anni nel febbraio prossimo, è di nuovo in galera. Dietro le sbarre c'è già stato per 35 anni, soprattutto per droga. Del resto il boss di San Donà di Piave è l'uomo che inventò lo spaccio di cocaina nel litorale veneziano. I suoi uomini iniziarono ad inondare le discoteche di Jesolo e Bibione, di Caorle e di Lignano di polvere bianca già a metà degli anni Ottanta. Lui la importava direttamente dalla Colombia, prima di aprire un canale privilegiato con i camorristi napoletani impiantati a San Donà di Piave. Ne trattava a chili, a tonnellate, e non se ne dispiaceva perché «la coca piace alle donne e non fa male a nessuno». Non aveva voluto entrare nel business dell'eroina che invece era il punto di forza di Felice Maniero.
 


I due, Maniero e Maritan, del resto, erano soci quasi alla pari della holding del crimine che ha tenuto sotto scacco il Nord Est dal 1980 al 1995. 15 anni fatti di rapine e di evasioni, di spaccio di droga e di bische clandestine. Un impero che fatturava centinaia di miliardi di lire ogni anno. E siccome ce n'era per tutti, Felice Maniero si era limitato a imporre la sua divisione del territorio per cui la zona del Veneto Orientale era toccata a Silvano Maritan. Non che lui avesse bisogno dell'imprimatur del capo: anzi Maritan era l'unico che poteva permettersi di dire di no a Maniero. Che lo lasciava stare, salvo tentare di farlo fuori perché convinto che Maritan gli avesse rubato qualche centinaio di milioni di lire. «Andò a finire che uno dei cinque killer ingaggiati da Maniero decise di avvertirmi», e lui a sua volta cercò di far fuori Maniero, senza riuscirci. Lo screzio fra i due consigliò a Maritan un viaggetto in Brasile...
Ma che Maritan fosse un vero capo lo testimonia anche un altro episodio, successivo alla fuga di Maniero dal carcere di Padova. Siamo alla fine del 1994 e alcuni componenti della banda decidono che è arrivato il momento di togliere di mezzo Maniero. Il boss della mala del Brenta infatti ha fatto sparire un sacco di soldi e si è pure tenuto due chili di eroina che dovevano servire a pagare la latitanza degli altri. Maniero era stato individuato a Torino, e la squadretta dei killer prima di partire per il capoluogo piemontese si recò da Maritan per offrirgli di diventare il nuovo capo banda. La polizia arrivò però prima di loro, Maniero si salvò e iniziò a collaborare.

Maritan era già alle prese con processi e condanne, ma l'ultima, a vent'anni di galera (finita di scontare da poco), gli arrivò proprio in seguito alle rivelazioni di Felicetto. «Ma io non c'entro nulla con il triplice omicidio dei fratelli Rizzi e di Padovan che Maniero mi ha attribuito - ha sempre sostenuto - Ero in Brasile, in quel periodo, proprio per sfuggire alla sentenza di morte di Maniero». Il 23 ottobre scorso aveva anche concesso un'intervista al nostro giornale, rilanciando le sue accuse all'ex boss. 

Dentro e fuori di galera, quando era in libertà Maritan tornava sempre nella sua San Donà, dove aveva mosso i suoi primi passi da boss. Intelligente, scaltro, un po' guascone, non ha mai nascosto la sua passione per le donne e alla verde età di 70 anni ancora faceva il galante con tutte le belle che incontrava. Pensare che suo padre aveva deciso di iniziarlo all'agricoltura e per anni Silvano aveva guidato le macchine agricole, salvo rendersi conto quasi subito, che «si diventava ricchi più facilmente semplicemente rubando». Ma gli inizi non erano stati facili. «Una volta che una negoziante si era sbagliata a darmi il resto, io mi ero vantato a casa e mio padre a scappellotti mi aveva fatto tornare indietro, a restituire i soldi». Insomma, per un motivo o per l'altro una donna c'entra sempre...
 
Ultimo aggiornamento: 09:23 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci