VENEZIA - Doveva essere l’anno definitivo dell’era Barbera, invece è una specie di ponte tra due diversi lunghi segmenti, che porteranno l’attuale direttore a ricoprire questa carica come nessun altro in precedenza nella storia della Mostra: 12 edizioni. Forse è la chiave di lettura per capire come Venezia (dunque la Biennale) intenda garantirsi la sicurezza di una continuità per il futuro, dove ancora tante iniziative nuove sono in cantiere. E certo per farle non c’è bisogno di una insicurezza costante sul nome del timoniere, situazione che l’addio a Barbera avrebbe probabilmente garantito.
Detto questo Venezia si accinge a dimostrare alcune cose: 1) che l’America non sta dall’altra parte della Luna, ma continua (e mai come quest’anno, come ben 7 titoli in gara, forse anche troppi) a credere la Mostra come punto nevralgico nello scacchiere internazionale; 2) che adesso o mai più è il momento che anche il Lido, inteso come territorio indispensabile e non sostituibile, passi all’azione positiva e non si limiti a infastidirsi: qualcosa si è mosso anche a livello di ospitalità generale e la nuova sezione Giardino è un mano data dalla Biennale alla cittadinanza; 3) che i festival alla fine (e questo vale anche per gli altri dello stesso livello) continuano ad avere una propria funzione di scandaglio del movimento internazionale, nonostante il web ormai abbia tolto distanze e invisibilità. Ché poi è solo una questione di buoni (o meno buoni) film. Aspetto che purtroppo molti tendono spesso a dimenticare.
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