Maritan, il boss del Veneto Orientale:
«Se trovo Maniero lo ammazzo»

Mercoledì 14 Marzo 2012 di Maurizio Dianese
Felice Maniero e Silvano Maritan
VENEZIA - Niente da fare, non gli passata. Silvano Maritan ce l’ha ancora a morte con Felice Maniero. Nel senso letterale del termine. Se me lo trovassi di fronte, lo ammazzerei. Seguono particolari truculenti sul metodo utilizzato. Ovviamente lo farebbe a mani nude, sbattendogli la testa su uno spigolo. Una boutade? Un po' sì, ma anche no.



Maritan già nel 1995 aveva mezza intenzione di accogliere la proposta di alcuni componenti della banda di far fuori Maniero. Il boss della Mala del Brenta era latitante dopo la fuga dal carcere di Padova, ma i suoi uomini non si fidavano più di lui e avevano deciso di ammazzarlo. Maritan era stato invitato a partecipare all’eliminazione di Maniero per poi prenderne il posto. L’operazione non andò in porto perchè Maniero pochi giorni dopo venne arrestato a Torino. Ma Silvano Maritan non se l’è proprio messa via, nonostante siano passati un bel po’ di anni.



Maritan, il boss della mala del Veneto Orientale, l’uomo che ha inventato lo spaccio di cocaina sul litorale veneziano, è stato intervistato da History Channel per il documentario che racconta la storia vera della Mala del Brenta di Felice Maniero. Della banda di Maniero, Silvano Maritan è stato un componente di spicco e per un certo periodo ne è stato addirittura il capo - quando Maniero era detenuto a Fossombrone. Curioso che ce l’abbia con Maniero, visto che l’ultima volta che è finito dentro è avvenuto per traffico di droga e con quell’episodio Maniero non c’entra niente. Ma Maritan è convinto - e non è l’unico - che Maniero sia all’origine di tutti i suoi mali giudiziari.



Anche Gilberto Sorgato, detto Caruso, ce l’ha con Maniero, eppure i due si sono conosciuti quando avevano i calzoni corti e insieme ne hanno combinate di tutti i colori. «Non so perchè mi abbia tirato in ballo per una storia di droga» - si lamenta Sorgato nel documentario di History Channel che è andato in onda subito dopo la prima puntata della fiction dedicata a Faccia d’angelo.



Non parliamo poi di Alessandro Rizzi. Anche lui odia a morte Felice Maniero e ne parla in modo spregiativo. «Chi si credeva di essere? Veniva a fare rapine qui a Venezia, che è casa mia e pretendeva di comandare». Maniero gli ha ucciso i fratelli - Maurizio e Massimo - che a loro volta avevano fatto fuori il "Marziano", al secolo Giancarlo Millo. La decisione di far fuori Millo è tutta loro, non hanno chiesto l’autorizzazione a Maniero e con quell’omicidio firmano la propria condanna a morte.



L’omicidio dei Rizzi mette nei guai anche Silvano Maritan, accusato da Maniero di aver partecipato alle riunioni preparatorie dell’assassinio dei fratelli. Maritan ha sempre negato, però i Tribunali non gli hanno creduto e lo hanno condannato. Prima ancora che arrivasse la sentenza definitiva, Maritan, in libertà, era stato arrestato di nuovo per traffico di sostanze stupefacenti. Ed è da quando è in galera - anzi, a dir la verità anche da prima - che Maritan si professa innocente di alcuni reati e punta ad "incastrare" Maniero. Non c’è riuscito negli ultimi vent’anni, ma questo non significa che se la sia messa via.



Chi invece è grato a Maniero è Giuseppe Di Cecco, un ex brigatista rosso che è stato intervistato per la prima volta nella storia da History Channel per il documentario curato in modo impeccabile dal regista Alessandro Garramone. Di Cecco fugge dal carcere di Fossombrone - nel dicembre 1987 - insieme a Maniero. Una fuga da film, attraverso le vecchie fognature del carcere.



Di Cecco partecipa con Maniero al rapimento di Donato Agnoletto, il responsabile della Cooperativa di Vigilanza privata. I banditi lo portano via da casa, abitava a Mestre in via Manin, con la figlia e la moglie incinta. Agnoletto viene portato in un capannone, lo vogliono costringere ad aprire il caveau. Agnoletto è preoccupato, teme che lo vogliano uccidere, insieme alla sua famiglia, e strappa una pistola a un bandito. C’è una sparatoria e Agnoletto viene colpito. Si salva per miracolo, ma le pallottole fanno meno danni dello Stato e della Giustizia, che non riescono ad assicurargli né la condanna per tentato omicidio dei suoi rapitori né un indennizzo decente dopo anni di ospedale, un polmone traforato e una epatite C contratta per le trasfusioni. Ma questa è un’altra storia e Maniero non c’entra.
Ultimo aggiornamento: 7 Aprile, 20:04 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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