«Sostenerli sia politicamente sia materialmente». È il 7 ottobre 2020 e Beppe Caccia sta rientrando in Italia dalla Danimarca.
IL CARTEGGIO
La difesa, rappresentata dagli avvocati Fabio Lanfranca e Serena Romano, è pronta a depositare l'istanza di riesame contro il sequestro disposto dal procuratore Fabio D'Anna e dal sostituto Santo Fornasier, nell'ambito dell'inchiesta per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina pluriaggravato («un reato gravissimo che il nostro ordinamento punisce con la reclusione fino a trent'anni») e violazione del codice della navigazione. «L'ingresso sul territorio nazionale ribadiscono i difensori non è stato illegale ma è avvenuto nel rispetto delle procedure di legge e con assegnazione di un Place of safety da parte delle autorità competenti». Il cosiddetto porto sicuro è il luogo in cui, in occasione di un intervento di recupero di naufraghi, vengono concluse le operazioni di salvataggio, con l'autorizzazione che in Italia deve arrivare dal ministero dei Trasporti d'intesa con il Viminale. L'asso che caleranno i legali è costituito dal carteggio che documenta i tentativi della Mare Jonio, con il capo-missione Caccia e il comandante Pietro Marrone (a sua volta indagato), di ottenere un Pos prima dalle autorità maltesi e poi da quelle italiane. Queste ultime infine lo concedono, come si può vedere dall'email inviata alle 19.25 del 12 settembre dall'Italian maritime rescue coordination centre, cioè dal Centro italiano di coordinamento dei soccorsi marittimi, che fa capo alla Guardia costiera e quindi al Mit. Nella comunicazione si legge che «il Ministero dell'Interno ha autorizzato lo sbarco per ragioni sanitarie delle persone presenti a bordo del R/Re (Rimorchiatore, ndr.) Mare Jonio presso il porto di Pozzallo» e dunque «si autorizzano diretti contatti con la locale Autorità marittima per definire le procedure di ingresso in porto».
LE TELEFONATE
Per gli inquirenti, gli attivisti avrebbero invece procurato «illegalmente l'ingresso nel territorio dello Stato» dei migranti, «col fine di trarre un profitto» consistito negli ormai famosi 125.000 euro. Stando a questa tesi, Caccia «dirigeva e coordinava tutti i principali processi decisionali inerenti alla operazione pro Maersk Etienne», fin dai «primi contatti» avuti l'8 settembre. Quel giorno i tabulati mostrano quattro telefonate, fra le 11.34 (durata 1.003 secondi, cioè circa 16 minuti) e le 14.52, intercorse fra il suo cellulare e un'utenza danese, che secondo il veneziano sarebbe però riferita all'organizzazione degli armatori con cui in quei giorni era in corso un confronto politico sul problema del Mediterraneo. I pm gli contestano poi un paio di chiamate con Tommy Thomassen, direttore tecnico della Maersk Etienne: alle 16.24 del 10 settembre e alle 10.52 dell'11 settembre, cioè nei giorni del trasbordo dei migranti sulla Mare Jonio. Le comunicazioni telefoniche riprendono quindi il 12 novembre, cioè due mesi dopo, «per accelerare la trattativa, sino a siglare l'accordo», scrive la Procura. «Abbiamo deciso di dare un contributo a Mediterranea per coprire alcuni dei costi sostenuti in seguito all'operazione», ha invece dichiarato il gruppo scandinavo, in un comunicato ufficiale.