Polentoni a Nordest, il successo del mais: la ricetta originale di come si doveva cuocere

Sabato 6 Gennaio 2024 di Adriano Favaro
Polentoni a Nordest, il successo del mais: la ricetta originale di come si doveva cuocere

VENEZIA - Avessimo letto meglio alcune pagine di quel libro e le sue ricette, quasi sicuramente, non saremmo finiti nel tragicomico piatto dei "polentoni", termine che ormai è poco più che sussurrato, ma che ha lasciato ingrugnati per decenni veneti e friulani. Ma anche avremmo evitato di essere trascinati nella triste classifica che aveva assegnato alla regione Veneto e Friuli Venezia Giulia il primato dei pellagrosi, malattia che derivava dall'eccessivo uso quotidiano di polenta: dai due ai tre chili quotidiani a testa.
La risposta si trova, anche, in un libro - che è stato per decenni un bestseller e compirà fra poco 470 anni che si trova alla biblioteca Querini Stampalia a Venezia.

Il volume contiene la "ricetta originale" di come si doveva cuocere il mais. L'opera che conserva da quasi cinque secoli i segreti del mais e di come cucinarlo si intitola "Delle Navigationi et viaggi" e l'ha compilata Giovan Battista Ramusio, un trevigiano brillante e curiosissimo, (nato nel 1485, morto nel 1557) che a trent'anni diventa uno dei quattro segretari del Maggior Consiglio, un ruolo di grandissimo rilievo politico e diplomatico.

AL VERTICE

E da quelle stanze dove vide passare il mondo intero e le sue storie Ramusio ebbe l'idea di divulgare tutto in tre volumi che provocarono interesse in tutta Italia, e non solo. Raccogliendo le opere di narrazione dei viaggi del mondo allora conosciuto Ramusio farà la fortuna degli stampatori veneziani che continuarono a vendere i tre volumi pieni di descrizioni di tutto il mondo, e con alcuni disegni. Nel primo trattato geografico dell'età moderna, Ramusio, - cartografo e umanista, conoscenza di più lingue ma aveva viaggiato solo in Europa -, riportava le testimonianze di una cinquantina di viaggiatori tra cui il vicentino Pigafetta, Alvise Ca' da Mosto, Sebastiano Caboto, Odorico da Udine, Fernando Cortez (Cortese), Francesco Pizzaro.

LA CITAZIONE

Così a pagina 131 del terzo volume (1554) a fianco dell'incisione di una bellissima pannocchia di mais, Ramusio scrive: «La mirabile et famosa semenza detta mahiz ne l'Indie occidentali, della quale si nutrisce metà del mondo, i Portoghesi la chiamano miglio zaburro, del qual n'è venuto già in Italia di colore bianco et rosso, et sopra il Polesene de Rhoigo et Villa bona seminano i campi intieri de ambedui i colori».
A leggere quelle pagine si poteva capire che si sarebbe dovuto fare come i nativi messicani che aggiungevano calce al mais nella bollitura. Poi il mais si trasformava in una pasta per usarlo come si fa ancora adesso, arrostendolo o tostandolo. Nessun indio o nativo dell'America Latina che ancora adesso si nutre quasi esclusivamente di mais si è mai ammalato di pellagra. Perché con il sistema della calce le vitamine restano. Così come le popolazioni che in alcune zone della Lombardia consumavano la polenta con il latte disponibile non erano soggette alla malattia perché il latte contiene proteine ad alto valore biologico e vitamine idrosolubili, compresa la PP (Pellagra Preventis) detta anche niacina. Tutte queste cose vengono percepite fino dalla metà del 1700 e studiate nei decenni successivi ma occorrerà arrivare al 1907 per una precisa conoscenza scientifica del fenomeno.

VENETO E FRIULI

Tornando nel Veneto del 1500 il primato del mais coltivato a Rovigo e Villabona, ora Villa d'Adige, in comune di Badia Polesine nelle proprietà dei veneziani Mocenigo, si è verificato per alcune ragioni: tutti i vegetali arrivati dall'America furono visti a lungo come curiosità botaniche. Ma per il mais esperimenti erano stati avviati in Francia del Sud, in Italia (Veneto e Friuli) e nei Balcani. La pianta cresceva in fretta, produceva molto e non entrava nella legislazioni dei patti di lavoro, per cui non era tassata. Però i proprietari terrieri dove la coltivazione era florida cominciarono in fretta a chiedere percentuali tanto che, per reazione, molti contadini provarono a non seminare più il cereale. Dalla penisola iberica dove il mais era già usato alla fine del 400, Gasparo Contarini scrive, 1522, al doge di Venezia che lì "viveno di pan fatto di frumento d'india"; in pochi decenni il mais attraversa le frontiere: Francia (1523), Germania (1551), Inghilterra (1597). È nelle Venezie che il mais trova la sua seconda patria, tanto che nei testamenti della fine del 1500 si leggono citazioni con campi seminati a mais. Per questo, già nel 1618, la occhiuta Repubblica di Venezia si muove tassando quella produzione che sta diventando enorme.
Stavamo per diventare polentoni (e anche un po' pellagrosi) ma non potevamo saperlo. Perché - come spiega Massimo Montanari storico della letteratura di cucina, docente a Bologna c'è stata una lunga sospensione di fronte ai prodotti americani, che proprio non servivano. Però quando si comincerà ad usare il mais si farà come per tutti gli altri cereali consumati in polentine, dal sorgo alla segale, orzo, avena, farro, panico, una specie di miglio. Tutti tradizionalmente - trasformati in cibo sotto forma di polenta. (...) E il loro accoglimento fu reso possibile solo da un processo di omologazione culturale che ne cambiò profondamente le modalità d'uso, adattandoli a tradizioni prettamente locali".

I PROBLEMI

La polenta salverà dalla fame. Ma l'effetto collaterale sarà la pellagra, una malattia identificata nel 1735 in Spagna, diffusa nelle popolazioni del Nord Italia, massicciamente presente agli inizi del 1900 anche negli Usa. Colpa di un'alimentazione troppo povera di vitamine del gruppo B e del fatto che in molte aree si mangiava solo polenta, anche due chili o più al giorno a testa, ottenuta cuocendo farina con l'acqua in ebollizione. Da secoli i contadini italiani ed europei erano abituati ad un'alimentazione a base di miglio (e altri cereali minori), portato in tavola come polenta. L'uso culturale-gastronomico non si modificò. E poco tempo dopo il termine pellagra apparve in Italia nel 1771, per opera del medico milanese Francesco Frapolli, che usa il lombardo, per indicare la caratteristica pelle ruvida causata dalla malattia. La piaga interessò nel 1776 il governo della Repubblica di Venezia che riteneva dipendesse dal fatto che i contadini usavano «sorghi turchi immaturi e guasti». Tra il 1804 e il 1805, il governo austriaco, che allora dominava il Veneto, in un'inchiesta nelle province di Treviso e Padova, stabilisce che la malattia viene provocata «dall'abuso dell'alimento vegetabile, in particolare del granturco».
Nell'Italia unità del 1878 ci saranno 98mila casi di pellagra in 40 province, con picchi nel Veneto. È nel 1881 che lo Stato finanzia essiccatoi per la stagionatura artificiale del granturco mentre nel Veneto si contavano 56 mila pellagrosi su un milione di abitanti dediti all'agricoltura; nel 1899 scendono a 40mila su una popolazione cresciuta di 200mila abitanti. Il Veneto resterà sempre in testa alle regioni italiane tanto da registrare ammalati fino a metà del secolo scorso, anche se la pellagra viene ridimensionata in modo drastico e quasi sparisce. C'è una consolazione nella storia del mais "stracotto" da veneti e friulani che non hanno ascoltato Ramusio? Forse. "Polenta" si dice così in quasi tutto il mondo, dalla Croazia alla Slovenia passando per Corsica, Germania, Ucraina, Cile, Messico e Brasile. Forse la variante più originale è quella della Romania, mmlig: c'è della poesia dentro quella parola. E quel cibo.

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