Don Brusutti, dall'azienda di trasporti di famiglia all'abito talare grazie all'Ail: la seconda vita dell'ex industriale

Da Mestre a Trieste dove ora è parroco nella chiesa di Santa Caterina da Siena

Mercoledì 11 Ottobre 2023 di Nicoletta Cozza
Don Brusutti, dall'azienda di trasporti di famiglia all'abito talare grazie all'Ail: la seconda vita dell'ex industriale

Lo chiamano il "prete con gli angeli", perché sta con i bimbi malati. Oppure il "tenero mastino di Dio", dato che, nonostante 30 anni da volontario immerso nella sofferenza più profonda, non smette di commuoversi. Fino a piangere. E lo ha fatto spesso di recente. Per esempio quando, convocato dai genitori al capezzale di un bimbo leucemico che stava per spirare, lo ha battezzato "con le lacrime", di mamma e papà, ma anche sue. Un mese fa non è riuscito a trattenerle nemmeno quando è entrato nella casa lasciata in eredità all'Ail da un uomo morto a 48 anni per la stessa patologia, deceduto in ospedale da solo, e che ha voluto donare all'Associazione ciò che possedeva per dare una speranza a chi lotta contro la malattia, "affinché non sia sempre la morte a vincere".
Don Marco Eugenio Brusutti, 48 anni, una laurea in Sociologia e un master in Etica, a luglio 2022 è diventato sacerdote e oggi è vice parroco nella chiesa di Santa Caterina da Siena a Trieste, dove risiede. Ci ha pensato 12 anni e non è stato facile per lui, giovane rampante, figlio di industriali dei trasporti e di origini nobili, una vita agiata fatta di affetti, amori, viaggi, cinema, teatro, sport e divertimenti, scegliere di lasciare tutto e indossare la tonaca. Con una motivazione, però, che va oltre. «Ora stringo le mani e ascolto chi sta male, e mette i suoi occhi nei miei, per non sentirsi solo».
Determinante è stato il lungo percorso che ha fatto appunto da volontario nell'Associazione italiana contro le leucemie-linfomi e mieloma, di cui, unico prete in Italia, è presidente dal 2020.

Negli anni Novanta il primo approccio dopo 2 lutti: la scomparsa della cuginetta Beatrice e della zia Marina, stroncate entrambe dal terribile male. E l'anno scorso, 60 giorni prima che venisse ordinato sacerdote, pure il papà, Bruno Brusutti, industriale veneziano di lungo corso, titolare dell'omonima azienda di trasporti, la più antica del Veneto con oltre un secolo di attività, è mancato a 80 anni a causa della leucemia.


IL PERSONAGGIO
Don Marco Eugenio, guai a chiamarlo con uno solo dei due nomi perchè «di don Marco, o di don Eugenio, ce ne sono troppi», nella «vita precedente» è stato presidente della Sezione Infrastrutture, Trasporti e Servizi di Confindustria Venezia, quando era executive manager dell'azienda di famiglia. Tra i numerosi incarichi ci sono anche quelli di consigliere Anav nazionale, nonché vice presidente veneto. Numerose le passioni: sci, corsa, nuoto, equitazione, viaggi e l'ultimo imperatore d'Austria, l'arciduca Carlo D'Asburgo, al quale ha dedicato un libro che sta per uscire.


Don Brusutti qual è stata la svolta?
«È la domanda che ancora mi pongo perché fino a 12 anni fa non avevo mai pensato di diventare prete. Ho lasciato cose belle, sogni e impegni che mi piacevano, per qualcosa che però era diventato indispensabile, cioè parlare e ascoltare il prossimo. Sono stato abituato a essere amato e questa è la chiave di lettura della mia vocazione perché mi sono trovato a non riuscire più a contenere la capacità di amare, e di essere amato. Ho avuto un'infanzia meravigliosa e tante relazioni che sono state il fulcro della mia esistenza. Ma adesso quella principale è tra me e Dio, tra me e gli altri, e parlano gli abbracci. La molla è stata "amare", quindi. Ci ho riflettuto tanto, e sapevo che sarebbe stata una strada che "mi comprometteva", e la "compromissione" era soprattutto la preparazione, in quanto non sarei stato più io a decidere, ma avrei ubbidito».


Prete, ma non solo, perchè continua a fare il volontario.
«Un giorno la settimana vado a Padova, e mi alterno tra l'ospedale e la sede dell'Ail. Anni addietro, quando una parente si era ammalata, avevo conosciuto il professor Luigi Zanesco ed è stato questo genio della Pediatria a farmi avvicinare all'Associazione quando mi ha detto "vorrei essere l'ultimo oncologo pediatrico e che questo demone mortale di nome leucemia scomparisse". Ho cominciato vendendo le stelle di Natale e le uova di Pasqua dell'Ail nelle piazze, poi sono entrato in reparto con il professor Modesto Carli, altro gigante. Ricordo che durante il Covid firmavo le paghe dei dipendenti con zero donazioni, ma con lui che diceva "butta il cuore oltre l'ostacolo". Così è stato, e l'esperienza Ail è un grande miracolo che vedo tutti giorni. L'altro ieri, per esempio, un ragazza guarita dal professor Livio Trentin, e diventata una chef famosa, ci ha donato 5mula euro. E poi c'è un'anziana con una pensione sociale di 400 euro, che da 45 anni tutti i mesi ne versa 50».


L'ATTIVITÀ
Lei ora è sacerdote e volontario: cosa fa quando entra in reparto?
«Stringo mani e ascolto. È facile dare i biscottini, portare la coperta o accompagnare, ma difficile è relazionarsi, far capire a chi sta portando avanti questa battaglia che non è solo. E poi ci sono le situazioni. L'altro ieri siamo andati nell'abitazione di M.F. ucciso dalla leucemia. Era solo e ha voluto che tutto, compresi auto e tfr, finisse all'Ail. Abbiamo aperto l'appartamento con il notaio ed era come lui l'aveva lasciato prima dell'ultimo ricovero: ho disposto che non vada buttato nulla, ma recuperato anche l'oggetto più insignificante di quella casa della sofferenza: per 2 mesi aveva vissuto con le finestre chiuse e l'ossigeno su una sedia a sdraio, in solitudine totale. Ci siamo fermati e abbiamo recitato una preghiera per lui. In un armadio abbiamo trovato casse piene di magliette sgargianti, ancora con l'etichetta, che collezionava: con questo tesoro di colori faremo un mercatino per aiutare i bimbi, ricordare la bellezza di chi ama e cancellare ciò che di lugubre e mortale c'è. Mi sono commosso pensando a lui che dormiva ancora nella camera di quand'era ragazzo. Ognuna delle sue cose sarà usata da chi ne ha bisogno, comprese le medicine non scadute. "Voglio che sia tutto dell'Ail per dare speranza", aveva scritto nel lascito testamentario e in questo modo la morte si è interrotta, ha vinto la voglia di vivere. Il messaggio è lo stesso del nostro periodico "News" che ha un inserto riservato ai bimbi e sulla copertina mettiamo i loro disegni: nell'ultimo c'è un mandorlo in fiore in segno proprio di speranza. Come si può non innamorarsi di questi ragazzi?».
«Di casi analoghi - prosegue don Marco Eugenio - ce ne sono altri, come la mamma che ha perso il piccolo Marco ucciso dal glioblastoma, che, disperata, ma con la forza del dolore, va a chiedere soldi per l'Ail. E noi abbiamo creato una task force di donne che aiuta i genitori nei momenti tragici».


Qual è la cosa più difficile che ha dovuto affrontare?
«Ero in sede seduto alla scrivania quando un medico mi ha chiamato per dirmi di correre all'hospice dove una mamma voleva un prete che battezzasse il suo bimbo che stava morendo. Mi sono sentito indegno. Non dimenticherò mai la stanza con quel piccino di un anno pieno di cannule che lottava per la vita, davanti al papà inginocchiato che pregava e piangeva. Ho somministrato il battesimo in extremis, le mani dei genitori e le mie si sono strette ed erano piene di lacrime».

Ultimo aggiornamento: 12 Ottobre, 09:22 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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