Lo splendore dei Leoni e dei Tori
dell’antica Persia ad Aquileia

Sabato 25 Giugno 2016 di Paola Treppo
Lo splendore dei Leoni e dei Tori dell’antica Persia ad Aquileia

AQUILEIA (Udine) - Persepoli era l’agglomerato urbano più grande e più bello del mondo quando Alessandro Magno arrivò davanti alle sue mura nel 330 avanti Cristo. Tre mesi dopo un incendio, ordinato o causato dallo stesso Alessandro, distrusse la città più maestosa che l’uomo avesse costruito: crollarono muri, statue, colonne. Si fusero le lamine d’oro che ancora ricoprivano le statue e il trono, e di Persepoli restarono solo le rovine che ancora resistono a 50 km dalla città di Shiraz, in Iran. Aquileia, uno dei più grandi e floridi centri politici, amministrativi e commerciali dell’Impero romano, resistette alle incursioni di Alarico, ma non ad Attila che, riuscì a penetrarvi grazie al crollo di un muro della fortificazione il 18 luglio del 452 dopo Cristo devastandola e, tradizione o leggenda vuole, spargendo il sale sulle sue rovine. 
 
Oggi, idealmente, la memoria di due grandi città, entrambe distrutte col ferro e col fuoco, a quasi 800 anni di distanza, ed entrata a far parte del patrimonio di cultura, di arte, di suggestioni dell'intera umanità, si concretizza nella mostra "Leoni e Tori dall’antica Persia ad Aquileia", da oggi, 25 giugno, al 30 settembre, al Museo Archeologico Nazionale di Aquileia, realizzata dalla Fondazione Aquileia in collaborazione con il Polo Museale del Friuli Venezia Giulia, il National Museum of Iran e l’Iranian Cultural Heritage Handcrafts and Tourism Organization. La mostra è dedicata all'arte achemenide e sasanide, con pezzi importantissimi provenienti dal Museo Archeologico Nazionale di Tehran e da quello di Persepoli. 

I pezzi in mostra 
Il visitatore rimarrà incantato dinanzi al Rhyton, costituito dalla protome di un leone alato accovacciato con il corpo che termina in un calice semiconico, decorato da scanalature concentriche e ornato alla sommità da un fregio di boccioli e fiori di loto. I particolari di questo oggetto - il muso leonino ritratto con fauci aperte a mostrare i denti e la lingua sporgente, gli occhi prominenti segnati alla base da due rigonfiamenti, gli artigli realisticamente resi e muscolatura lineare nonché le grandi ali a terminazione ricurva, decorate con tre registri di piume - lo rendono un capolavoro più che di artigianato dell’arte in generale; così come il pugnale sempre in oro, che presenta decorazioni a soggetto animalistico - ancora leoni - riprese e ripetute nelle terminazioni di uno spettacolare bracciale, costituite appunto da protomi leonine con il muso digrignante e la lingua sporgente: i muscoli facciali sono evidenziati da rigonfiamenti, così come gli occhi sporgenti e la fronte da due solchi segnati da elementi circolari. E se non possiamo sapere che cosa abbia provato Alessandro Magno dinanzi alle 72 colonne dell’Apadana, la grande sala delle udienze di Persepoli, possiamo farcene tuttavia un’idea solo osservando i due frammenti di un colossale capitello di colonna che saranno esposti ad Aquileia. Così come possiamo immaginare la caccia al leone osservando i finissimi rilievi di un piatto in argento che ancora reca tracce di oro o stupirci dinanzi ai fregi leonini di un peso cilindrico che forse ha pesato parte degli innumerevoli doni che pervenivano da tutto il mondo allora conosciuto.

Come possiamo rimanere incantati dal moto rotatorio di tre leoni incedenti e da un sobrio quanto perfetto naturalismo nella loro descrizione anatomica, in un oggetto che ricopriva un cilindro forse parte di mobilio o come sostegno.

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