Guardia del carcere si uccide
con la pistola di servizio a 47 anni

Mercoledì 6 Luglio 2016 di Paola Treppo
Guardia del carcere si uccide con la pistola di servizio a 47 anni
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GEMONA DEL FRIULI (Udine) - Un poliziotto penitenziario di 47 anni nato e cresciuto a Gemona del Friuli, in servizio alla casa circondariale di Cremona, autista al Nucleo traduzioni e piantonamenti, si è tolto la vita poco prima di prestare servizio con l’arma di ordinanza. Più di 20 anni di servizio nella polizia penitenziaria, il friulano è stato trovato esanime questa mattina, verso le 7, nel garage di casa.  A dare la triste notizia è Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe.

«Sembra davvero non avere fine il mal di vivere che caratterizza gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, uno dei cinque Corpi di Polizia dello Stato italiano - dice Capece -. Solo solo due settimane fa si era verificato il suicidio di un altro appartenente alla Polizia Penitenziaria, a Trieste. Tragedie che si ripetono, con grande dolore e angoscia. E ogni volta la domanda che ci poniamo è sempre la stessa: si poteva fare qualcosa per impedire queste morti ingiuste? Si poteva intercettare il disagio che segnava questi uomini e, quindi, intervenire per tempo?».

«Allo stato non è possibile sapere quali siano state le ragioni che hanno portato il 47enne a questo tragico gesto, e quindi non sappiamo se possano eventualmente esserci anche ragioni professionali, è "luogo comune" pensare che lo stress lavorativo sia appannaggio solamente delle persone fragili e indifese: il fenomeno colpisce inevitabilmente anche quelle categorie di lavoratori che almeno nell’immaginario collettivo ne sarebbero esenti. Ci riferiamo in modo particolare alle cosiddette “professioni di aiuto”, dove gli operatori sono costantemente esposti a situazioni stressogene alle quali ognuno di loro reagisce in base al ruolo ricoperto e alle specificità del gruppo di appartenenza. Il riferimento è, ad esempio, a tutti coloro che, nell’ambito dell’Amministrazione di appartenenza, spesso si ritrovano soli coi loro vissuti, demotivati e sottoposti ad innumerevoli rischi, ad occuparsi di vari stati di disagio familiare, di problemi sociali di infanzia maltrattata e di tutto quel mondo della marginalità che ha bisogno, soprattutto, di un aiuto immediato, sulla strada, per sopravvivere».
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