Sparatoria in questura, il Tar annulla la sospensione dell'agente "Rambo"

Mercoledì 17 Marzo 2021 di Angela Pederiva
L'altarino che era stato posizionato all'esterno della questura di Trieste con le foto dei due agenti morti
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VENEZIA Sospensione dal servizio per sei mesi, dopo essere intervenuto nella questura di Trieste, nei concitati frangenti seguiti all'omicidio degli agenti Matteo Demenego e Pierluigi Rotta. È la sanzione inflitta dal ministero dell'Interno a un poliziotto, che il 4 ottobre 2019 si trovava a passeggio con la famiglia, quando capì cosa stava succedendo e partecipò alla caccia all'uomo, culminata nella cattura di Alejandro Augusto Stephan Meran: temendo che fossero ancora in azione dei complici, il pubblico ufficiale insistette con modi piuttosto spicci a voler cercarli, tanto da bisticciare con il magistrato di turno e da finire sotto procedimento disciplinare. A distanza di quasi un anno e mezzo, però, il Tar del Veneto ha accolto il suo ricorso: i giudici hanno infatti riconosciuto che il dipendente ha messo a disposizione «la propria specifica professionalità per far fronte con abnegazione ad un gravissimo episodio che ha destato grande allarme, esponendo anche a rischio la propria incolumità pur di portare a compimento l'azione di messa in sicurezza».

I FATTI La sentenza riassume i convulsi fatti di quel sabato pomeriggio.

Dalle notizie frammentarie «risultava la presenza di un numero non definito di persone armate nascoste nei sotterranei», per questo il poliziotto chiese «ad un collega di far immediatamente controllare i filmati delle telecamere», poi «munito dell'arma d'ordinanza» andò nel seminterrato «per procedere ad una bonifica di tutti i locali», quindi diede disposizione «di sorvegliare l'atrio», si assicurò «che l'omicida, ferito, fosse portato in sicurezza all'ospedale» ed entrò negli uffici della squadra mobile «avendo avuto notizia della presenza di uno dei probabili attentatori». Si trattava del fratello del killer, «seduto a terra ammanettato». Ecco l'episodio incriminato: «Si è avvicinato con modi bruschi allo stesso facendosi largo tra le persone, lo ha fatto alzare per farlo portare in altro ufficio e puntando il dito verso di lui gli ha chiesto se ci fossero altre persone. Mentre compiva tali azioni alcuni superiori presenti sul luogo hanno cercato di farlo desistere da tale azione perché la situazione si era in realtà già stabilizzata». Sul posto c'era infatti il magistrato, ma il poliziotto «non ha desistito dal continuare la propria azione ed anzi ha risposto con tono acceso affermando di agire per questioni di sicurezza», salvo poi apprendere che era tutto finito e scusarsi per l'accaduto.

L'ANNULLAMENTO A quel punto, però, scattarono procedimento e sanzione: sei mesi. Secondo il ministero dell'Interno, il dipendente aveva tenuto «un comportamento non conforme al decoro delle funzioni degli appartenenti ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, che riveste carattere di rilevante gravità». Motivazioni che costituivano un'autentica macchia in una carriera caratterizzata «da numerose missioni in campo internazionale, numerose onorificenze, nazionali ed internazionali, una promozione al grado superiore per meriti straordinari, una medaglia d'argento al valor civile». Ma il Tar del Veneto ha disposto l'annullamento della sospensione dal servizio. Quel giorno «non è mai stata data una comunicazione formale di cessato allarme né è stato dato il fine operazioni», tant'è vero che «vi erano colleghi con armi in pugno e giubbetti antiproiettile indossati, fermi a presidio dei punti di accesso». Dunque il poliziotto agì in «buona fede».

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