Parolaccia, arriva l'Insultario veneto: un dizionario di offese, imprecazioni e modi di dire (più o meno beceri): «Se dette in dialetto è creativo»

L'autrice è Maria Letizia Pivato, a lanciare l'idea è stato Walter Basso

Sabato 24 Febbraio 2024 di Elena Filini
Maria Letizia Pivato è l'autrice dell'insultario veneto

A come afàre, Z come zòtolo. In mezzo un mondo di insulti, perifrasi ingiuriose, non di rado inespresse bestemmie. Come i veneti nessuno: secondi forse solo ai toscani, hanno nei secoli elaborato un vocabolario così colorito, vario e per certi aspetti ermetico da rendere necessario un vocabolario. O meglio, un insultario. L’opera raccoglie quindi quando sentito nelle peggiori osterie della bassa, nelle taverne vicino al porto, nei remoti rifugi di montagna dopo qualche ombra. Nato da un’idea di Walter Basso – già autore del “Dizionario da scarsea” – questo insultario veneto-italiano è un prontuario per avere offese, imprecazioni e modi di dire beceri sempre a portata di tasca, per tenere testa a chiunque in qualsiasi situazione e a non farsi mai trovare impreparati quando ci si trova in Veneto.

LA PRESENTAZIONE
“Insultario Veneto” (che sarà presentato alla libreria Lovat di Villorba, oggi alle 18, dall’autrice insieme a sir Oliver Skardy dei Pitura Freska) si propone di dare ordine, rigore (non necessariamente scientifico) e spiegazione circa i termini più coloriti della lingua veneta, con l’intento di analizzare la parlata più verace, a volte un po’ sopra le righe, che si incontra nelle peggiori osterie, ma anche fra i campi e i capannoni, tra le officine e i mercati, dove nell’aria riecheggia sovente l’eco di fantasmagoriche imprecazioni. L’autore? Non come si potrebbe pensare un avanzo di galera ma una soave fanciulla cresciuta tra liceo e letteratura. Con carattere fumantino, però. «Perchè io? L’editore ha spiegato che mi si prestava, ha detto è il tuo devi farlo tu. Forse perchè ho una certa passione per l’insulto». Così Maria Letizia Pivato, che lavora come grafica ed editor per la casa editrice EditorialeProgramma di Treviso, dal 2016 inizia a catalogare insulti in ordine alfabetico. «Da mona a oseo ne ho pescati alcuni da tradizione famigliare e modi di dire anche un po’ più blandi. Poi ho chiesto in giro per le osterie, ascoltavo le frasi fatte e ho deciso di catalogarli. Alcuni sono proprio i lemmi, in certi casi sono delle vere e proprie perifrasi catalogate in ordine alfabetico».


SAGACIA POPOLARE
Ne è uscito un ricco concentrato di cultura altissima, intrisa di sagacia popolare (come si spiega in premessa): il dialetto veneto, al pari di Aristofane, possiede tutta la verve, il carisma, la spigliatezza e l’immediatezza di cui a volte l’italiano è carente. La léngua vèneta sa esprimere alcuni concetti salienti con grande semplicità e incisività, attraverso un singolo termine o rapide frasi, senza i limiti retorici imposti dall’italiano. «Mi scuso innanzitutto con i miei genitori, che mi hanno educata ad essere una persona perbene e non volgare, fallendo miseramente; con tutti quelli che mi hanno gentilmente chiesto di smettere di dire le parolacce, perché “sulla bocca di una signorina non sta bene”, ed io li ho ignorati; con tutti quelli che magari si sentiranno offesi da questo libro, ma io cosa posso farci se non siete stati dotati del senso dell’umorismo?».


UN INTERCALARE
Sarà che l’insulto è la prima cosa che apprendono anche gli stranieri, sarà che la parolaccia è per i veneti spesso intercalare, fatto sta che l’insultario è stato stampato a ottobre 2023 e ristampato già 3 volte: ha venduto 16 mila copie ed è già un “piccolo” caso letterario. L’espressione più veneta? «Se siamo a Venezia ghe sbxxx che è un intercalare usatissimo. Una delle più gettonate è “to mare omo (che pissa in piè)”. È tremenda, ma un conto è se te lo urla uno mentre gli tagli la strada in auto, un conto è buttata là tra amici. Un’altra cosa simpatica è “I te gà bateza con l’acqua dei folpi” che si riferisce di solito a un bambino molto irrequieto. “Però folpo-informa- vuol anche dire scemo».
Una parola cardine della lingua veneta, e cioè mona, ha due voci separate. “A seconda del genere cambia il significato. Al femminile è il luogo verso cui ti ci si manda (che può essere un augurio o una cosa poco gradevole). Ma ovviamente in senso volgare indica anche, nelle donne, la parte per il tutto. Al maschile in realtà significa scemo». Il libro tratta con leggerezza e ironia il tema. E non è certo un incoraggiamento all’ingiuria. Censire parolacce aiuta però a fare un’analisi sociologica dell’offesa. «Tra le riflessioni che ho fatto scrivendo e catalogando parole è che di solito l’insultante è maschio e bianco. Perché tantissimi insulti poco politically correct si riferiscono alle donne, agli omosessuali e agli stranieri. Quindi nel libro, ho trovato un modo di far capire che ci sono dei termini che è giusto conoscere ma che non vanno ripetuti. Vicino alle parole sessiste omofobe e xenofobe ho messo un simboletto che rimanda ad un insulto con cui bonariamente mi prendo gioco di chi pronuncia parole di questo genere». Perché ha avuto successo questo libro? «Perché credo sia un libro estremamente democratico: si insultano tutti ma nessuno si deve sentire insultato. Inoltre l’insulto ha un effetto inequivocabilmente catartico, ti purifica i sentimenti come nessuna seduta di yoga saprà mai fare».

Ultimo aggiornamento: 25 Febbraio, 10:39 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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