Treviso. Omicidio di Fiera, figlio e nipote della vittima minacciano il fratello del killer: «La prossima volta vi ammazziamo tutti»

Giovedì 18 Aprile 2024 di Giuliano Pavan
Kastriot e Asrim Kogleci, i cugini che in tribunale hanno minacciato uno degli imputati, fratello del killer

TREVISO - «L’altra volta è andata bene a voi, la prossima vi ammazziamo tutti». Una minaccia, tutt’altro che velata, rivolta a Besim Manxhuka (alias Besim Morina), uno degli imputati nel processo per l’omicidio di Ragip Kolgeci, il 52enne kosovaro massacrato a coltellate e sprangate il 12 ottobre 2022 nel piazzale del bar La Musa di viale IV Novembre a Fiera. A pronunciarla, fuori dall’aula di corte d’assise del tribunale di Treviso, il figlio e i due nipoti della vittima: Kastriot, Arsim e Quitim Kolgeci. Besim Manxhuka, fratello di Afrim, il 50enne kosovaro considerato assieme al nipote Valmir Gashi, 39, l’autore materiale del delitto, è stato avvicinato dai tre al termine della pausa dell’udienza per il pranzo. Tornato in aula, ha chiesto al presidente della corte d’assise di poter parlare, denunciando quanto accaduto qualche minuto prima: «Sono stato minacciato». Il giudice, raccolte le dichiarazioni spontanee dell’imputato, ha disposto che vengano acquisite le immagini delle telecamere del tribunale per capire se la scena sia stata ripresa. La faida, dunque, dalle strade di Fiera si è spostata in tribunale


L’UDIENZA

Arsim e Quitim Kolgeci ieri erano in tribunale perché dovevano essere sentiti come testimoni. La minaccia, stando alla denuncia di Besim Manhuka, è stata proferita tra le due audizioni, scaldando un clima già teso dopo quanto raccontato da Arsim Kolgeci. Il nipote della vittima ha infatti detto sotto giuramento che il giorno dell’omicidio aveva ricevuto una telefonata ad Afrim Manxhuka che gli diceva che stava aspettando lui e lo zio Ragip Kolgeci al bar La Musa. «Ho parcheggiato lì davanti, io e mio zio siamo scesi dall’auto e ci siamo diretti verso il bar. Afrim ci veniva incontro. Io ho fatto per fermarlo, e abbracciarlo. Lui si è scansato urlando. E quando mi sono girato ho visto arrivare altra gente ed sono iniziate a piovere botte da tutte le parti». «Ha visto chi ha colpito suo zio?», ha chiesto il pm Valeria Peruzzo. «Ho visto che Afrim aveva in mano un coltello sporco di sangue, e Valmir che aveva in mano un ferro a forma di croce (quello usato per svitare i bulloni delle ruote di un’auto, ndr)». Dichiarazioni che, secondo l’accusa, confermerebbero il fatto che a colpire Ragip Kolgeci siano stati proprio Manxhuka e Gashi. Volevano uccidere? Secondo le difese no. L’autopsia ha confermato che il colpo mortale è stata la pugnalata alla coscia che ha reciso la vena femorale. Il colpo in testa era potenzialmente mortale, ma non avrebbe provocato una morte istantanea. Come emerso in aula durante la deposizione del medico legale Alberto Furlanetto, chi vuole uccidere non colpisce con un’arma da taglio in quel punto, ma mira a cuore o addome. «Sembra più un evento casuale» sostengono i difensori degli imputati. 


IL MOVENTE

Il movente del delitto, epilogo della spedizione punitiva secondo le regole del kanun (il codice medievale albanese non scritto ma canonizzato che regola le questioni d’onore tra le famiglie), era stato svelato nel corso della precedente udienza, e ribadito anche ieri. Tutta la faida tra le famiglie Kolgeci e Manxhuka nasce dall’aborto di una delle tre figlie di Ragip, avvenuto nell’ottobre 2020. Era rimasta incinta del compagno, Ismail Berisha, che l’aveva costretta ad abortire per poi lasciarla. Berisha fu vittima di una pestaggio in Kosovo nel dicembre 2020, con protagonisti Kastriot Kolgeci e altri parenti. Berisha si vendicò a febbraio 2021, organizzando il pestaggio di Ragip Kolgeci che venne aggredito da quattro persone. Lui estrasse una pistola e sparò, senza però colpire nessuno. La vendetta, però, non era compiuta. Berisha si informò su chi a Treviso poteva «ridurre su una sedia a rotelle» Kastriot Kolgeci. A occuparsi della questione avrebbe dovuto essere Afrim Manxhuka, che però si riufiutò. Sembrava finita lì. Ma un debito di 500 euro che uno degli imputati, Labinot Sedju, aveva contratto con Kastriot Kolgeci aveva fatto riaffiorare la questione.

Il figlio di Ragip pretendeva quel pagamento ma Labinot, protetto di Manxhuka, non ne voleva sapere. Ecco allora, secondo la Procura, che la faida si è riaccesa,finendo per lasciare nel piazzale di viale IV Novembre il corpo senza vita del 52enne kosovaro.

Ultimo aggiornamento: 19 Aprile, 10:23 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci