VILLORBA - La seconda bomba al K3 di Villorba nel 2018 non avrebbe potuto uccidere, ma al massimo ferire alle gambe i poliziotti accorsi dopo la prima esplosione. A dirlo sono le motivazioni della sentenza con cui due mesi fa la Cassazione ha respinto i ricorsi della Procura generale di Venezia e dell'anarchico Juan Antonio Sorroche Fernandez, rendendo così definitiva la condanna a 14 anni e 10 mesi pronunciata dalla Corte d'assise d'appello, dimezzata rispetto ai 28 anni stabiliti in primo grado a Treviso.
Il congegno esplosivo: pentole e chiodi
I due «congegni esplosivi micidiali», cioè pentole contenenti polvere pirica e chiodi, erano stati posizionati nella scala di sicurezza che porta alla sede della Lega Nord-Liga Veneta. Nella notte del 12 agosto era scoppiato il primo, mentre il secondo era stato collegato ad una trappola d'inciampo, in modo da saltare in aria all'arrivo delle forze dell'ordine. Per la Procura generale di Venezia (ma non per il pm della Cassazione), «doveva ritenersi sussistente l'attentato alla vita delle persone», in quanto l'esplosione della seconda bomba «avrebbe generato temperature di 1.000 gradi, seppure per poche frazioni di secondo, e si sarebbe propagata entro un raggio di 4 metri, tale da comprendere anche la zona di innesco (ove era collocato il filo che l'avrebbe attivata); scagliando, altresì, intorno a sé i 5.000 chiodi che conteneva, che ne avrebbero aumentato la potenzialità lesiva». Tutte caratteristiche coerenti, secondo l'accusa, con le dichiarazioni rese da Sorroche durante il processo. Pur non ammettendo la propria responsabilità nell'attentato, infatti, lo spagnolo aveva solidarizzato con «la lotta anarchica contro il capitale e lo Stato razzista» ed aveva giustificato la violenza se rivolta a «politici, sbirri e loro tirapiedi». Opposta invece la posizione del difensore Flavio Rossi Albertini Tiranni, citando anche la perizia che osservava «come scarsa fosse la qualità dell'esplosivo, di origine artigianale, come la densità di caricamento fosse ridotta, come l'innesco fosse debole e come la catena incendiaria mal progettata».
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Gli effetti della deflagrazione
Per la Suprema Corte, invece, è stata corretta la valutazione dei giudici di Appello, secondo cui la deflagrazione sarebbe stata «potenzialmente lesiva della incolumità delle persone», ma non della loro «vita». Siccome il filo-trappola era stato collocato «all'altezza dell'ottavo/nono gradino, così da porsi ad una certa distanza dalla zona dello scoppio e da frapporre fra esso e la potenziale vittima la struttura stessa della scala», la Cassazione concorda sul fatto che «al più, nel raggio del pericolo accertato (di quattro metri), potevano rientrare i soli arti inferiori della vittima». Il 47enne Sorroche è stato condannato a pagare le spese processuali, altri 3.000 euro alla cassa delle ammende e ulteriori 5.500 alla parte civile Lega-Liga per la rappresentanza e la difesa, patrocinata dall'avvocato Stefano Trubian.