Militari suicidi, spunta l'ombra delle tangenti sui blindati

Giovedì 20 Aprile 2017 di Giuseppe Pietrobelli
I funerali di Marco Callegaro nel 2010
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Il capitano Marco Callegaro morì per apparente suicidio a Kabul, nella notte tra il 24 e il 25 luglio 2010, ucciso da un colpo di pistola nel suo ufficio vicino all'aeroporto. Aveva 37 anni, due figlie e una moglie che l'attendevano a Bologna, i genitori a Gavello, in provincia di Rovigo. Sei anni e mezzo dopo il colonnello Antonio Muscogiuri, cinquantenne, finito sotto inchiesta per una supposta truffa nel noleggio di mezzi blindati da parte della missione italiana in Afghanistan, si è ucciso, impiccandosi due settimane fa a una trave nel sottotetto della caserma del Comando alpino di Bolzano. Quale filo lega queste due morti e quali segreti inconfessabili nascondeva la missione italiana in uno degli scenari di guerra più arroventati? Quanto imbarazzante può essere l'indagine condotta dalla Procura militare di Roma dopo la morte di Callegaro, un suicidio a cui i familiari non hanno mai creduto? Che cosa sapeva, aveva visto e si preparava a denunciare il soldato che pochi giorni prima di morire aveva inviato alcune mail con documenti riservati ad amici e superiori? E quali timori aveva il colonnello Muscogiuri dal dibattimento giudiziario per truffa aggravata che sta per cominciare, seppur a livello di udienza preliminare? 

Non ci fosse il segreto di Stato previsto dalla legge che nel 2007 riformò i servizi di sicurezza, si conoscerebbero almeno i nomi dei militari che sono sospettati di truffa: 5 sono stati rinviati a giudizio oggi dal Tribunale militare, dopo che il procuratore Marco De Paolis e il sostituto Antonella Masala ne hanno chiesto il processo. Per conoscere l'identità del colonnello Muscogiuri è stato necessario il suo suicidio. Era considerato l'imputato principale, visto che dopo aver comandato nel 2005 il Genio Multinational Engineer Group (MNEG) a Kabul, nel 2010 era a capo di Italfor Kabul a protezione del comando Isaf, la struttura dove era in servizio anche Callegaro.

Alla morte per suicidio del capitano Callegaro, la moglie Beatrice Ciaramella e il padre Marino non hanno mai creduto. Ci sono due fatti che li confortano nel dubbio. Un paio di giorni prima aveva inviato alcune mail contenenti documenti militari riservati ad alcuni amici e anche a un superiore militare. Lo aveva fatto apparentemente per errore, ma è molto probabile che volesse lasciare delle tracce. Anche perché avrebbe lasciato intendere che quando sarebbe tornato in Italia sarebbe andato allo Stato Maggiore per fare una denuncia.

Il secondo elemento nasce dallo stato anomalo della sua agenda privata, trovata con alcune pagine strappate ma con un appunto che sei anni dopo attende ancora di essere chiarito. Sulla pagina del 18 luglio 2010 aveva scritto: Rivisto alcune cose, preso coscienza. Cosa aveva visto, di che cosa aveva preso coscienza? Di certo al padre aveva detto: Tengo bene i conti, voglio far risparmiare l'Italia. E aveva fatto capire di essersi fatto dei nemici, anche interni. L'inchiesta ha preso spunto dalla morte di Callegaro e si è subito dilatata, ipotizzando una truffa che riguarda la blindatura dei veicoli civili destinati ai militari di vertice e alle personalità in visita al contingente italiano che avevano uno spessore inferiore a quanto pattuito ed era quindi meno cara. La truffa avrebbe fatto risparmiare illecitamente la ditta afgana che li aveva noleggiati. Secondo gli inquirenti il titolare della società sarebbe vicino ad ambienti del terrorismo internazionale. Gli inquirenti avrebbero accertato l'uso di un certificato di blindatura non conforme al reale e il fatto che, nonostante le contestazioni della fornitura, avvenute nel maggio 2010, poi le fatture vennero pagate con un esborso di 100 mila euro per  5 mesi di nolo (dall'1 marzo al 31 luglio 2010).

Ma forse non c'è solo una supposta truffa da 35 mila euro in quell'inchiesta blindata dal segreto.

Non si spiegherebbero altrimenti i 4 container pieni di documenti che in questi anni sono arrivati in Italia dall'Afghanistan, né il fatto che i pubblici ministeri abbiano sequestrato 28 mezzi blindati e interrogato alcune centinaia di militari, per ricostruire una storia che è sicuramente più grave di quanto apparirà dal capo d'imputazione davanti al gup. Infatti questo è solo un capitolo stralciato dal corpo principale di un'inchiesta rimasta finora sotto traccia.

Ultimo aggiornamento: 20:16 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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