Arriva dagli Usa il kit per tracciare
il Dna dei vini ed evitare le frodi

Sabato 30 Aprile 2016 di Massimo Rossignati
Arriva dagli Usa il kit per tracciare il Dna dei vini ed evitare le frodi
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Dal Valpolicella al Barolo, dal Chianti al Brunello, arriva il kit che traccerà il Dna del vino per reprimerne le frodi. Il Governo degli Stati Uniti ha sostenuto economicamente una ricerca italiana e ora si prepara a mettere in pratica questo nuovo sistema di controlli su tutto il vino che entrerà negli Usa.

Al convegno “De Vini Veritate”, all’Università di Verona, la professoressa Rita Vignani, direttrice del laboratorio di Genomica dell'Università di Siena, ha spiegato questo nuovo metodo di controllo che permetterà di risalire con l'analisi del dna dalla bottiglia ai vitigni utilizzati per produrre quel vino. La ricerca a cui dal 2009 sta lavorando il team guidato da Vignani si è vista assegnare un finanziamento di 150 mila dollari dal Ttb (Alcohol and Tobacco Tax and Trade Bureau), l'agenzia doganale che regola l'entrata di alcolici negli States. Il progetto ha già visto una pubblicazione su una prestigiosa rivista statunitense “American Journal of enology and viticulture” e ora Vignani, dopo aver tracciato il dna delle cultivar più blasonate dal Barolo al Brunello, sta lavorando sul dna dei grandi blend, come il Valpolicella, formato da più vitigni.
 
«E’ uno strumento a favore della qualità, dei viticoltori onesti e dei consumatori - ha detto Vignani - Il metodo è scientificamente provato, a settembre consegneremo il kit al committente americano. La richiesta del Governo degli Stati Uniti è chiara: sviluppare un metodo molecolare per l'autenticazione varietale del vino».
Insomma, non si potrà più fare, come accaduto, Prosecco con semplice vino bianco da tavola, per esempio. Alcune aziende di Barolo, Chianti e Valpolicella già hanno deciso di certificare con la tracciabilità del Dna la loro produzione.
Interessante anche la testimonianza di Cinzia Mantemurro dell'Università di Bari, incaricata nel 2014 dalla Magistratura barese di affinare un kit simile durante un'indagine anti-frodi. «L'indagine riguarda cantine pugliesi che dovevano vinificare al 100 per cento Trebbiano, ma che dai controlli risultava avessero ogni sorta di uva che Trebbiano - ha detto Mantemurro -. Alla magistratura serviva la prova finale, scientifica. Siamo arrivati a pubblicare un metodo dimostrato e verificato che dai mosti e dai vini riporta ai vitigni utilizzati. Abbiamo trovato che in quei mosti la soglia del Trebbiano era il 3 per cento. Il resto era uva da tavola».
 
Ultimo aggiornamento: 1 Maggio, 08:14 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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