Venezia e Trieste: guerra fra porti
In ballo la "quota" del Nord Europa

Venerdì 26 Agosto 2016 di Michele Fullin
Il porto di Trieste
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Riesplode la "guerra dei porti" tra Venezia e Trieste. In ballo c’è una quota importante del commercio internazionale che potrebbe essere sottratta agli scali del Nord Europa come Rotterdam, Anversa e Amburgo, tanto per citare i più imponenti. Ma c’è anche l’orgoglio ferito di chi ritiene che questa possa essere una vittoria dell’uno a scapito dell’altro. Il ministro delle infrastrutture e uomo forte del governo Renzi, Graziano Delrio, il 9 agosto ha dato il via libera al passaggio in Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) del progetto integrato Voops, che prevede la realizzazione del famoso terminal offshore a 8 miglia dal Lido di Venezia e di una grande piattaforma logistica nell’area ex Montefibre ed ex Syndial a Porto Marghera. Il progetto, solo per l’offshore prevede un investimento di un miliardo e 400 milioni, di cui almeno 600 da capitali privati, per realizzare un molo riparato a cui far attraccare le gigantesche portacointainer da 440 metri che oggi possono passare per il raddoppiato canale di Suez.

L’unico modo è far "toccare" queste navi in porti che possano smaltire l’intero carico: uno è Trieste, che ha la profondità necessaria, e l’altro sarebbe il nuovo terminal, dotato di un pescaggio di 20 metri e di un sistema di trasferimento via mare delle merci a Marghera, ma anche Chioggia, Porto Levante, Mantova e Ravenna.
Prima del parere, il Ministero aveva sottoposto il progetto a tre esami "seri e senza pregiudizi": uno giuridico (per spiegare che l’offshore serve per ridare accessibilità nautica a Venezia), uno tecnico (per dimostrare che il porto offshore funziona e recepire in sede di progetto definitivo tutte le prescrizioni date) e uno economico (per comprendere la sostenibilità economica del progetto). Ora spetterà al Cipe inserire il progetto all’esame in una delle prossime sedute con l’obiettivo di capire come finanziare la realizzazione dell’opera, ma sempre con il patto tra gentiluomini che "lo Stato non metterà un centesimo finchè non ci sarà un privato disponibile a metterci altrettanto se non di più".
Su questo punto, il presidente dell’Autorità portuale di Venezia, Paolo Costa, ha assicurato di avere in mano diversi possibili partner, che attendevano proprio questo segnale. Tra l’altro, comunque vada il Cipe, è arrivata l’autorizzazione a investire sulla bonifica e l’infrastrutturazione di Porto Marghera ben 135 milioni tra fondi ministeriali e portuali, riqualificando un’enorme area ex industriale.
In questo contesto si pone ieri il "grido di dolore" di Riccardo Riccardi, capogruppo di Forza Italia in Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia: «Se l'offshore di Venezia va avanti possiamo dire addio alla prospettiva strategica del Friuli Venezia Giulia buttando nel cestino lo sforzo per aver conquistato il riconoscimento del corridoio Adriatico-Baltico da parte dell'Ue». Riccardi poi se la prende con la presidente Debora Serracchiani: «Mi chiedo se la vicesegretaria del Pd, alla quale ricordo anche l'incarico che lei ritiene secondario di presidente della Regione intenda intervenire oppure preferisca restare a guardare per ordini di partito».
Affermazione quantomeno poco corretta per due motivi: il primo è che il corridoio Adriatico-Baltico ha due "piedi": Trieste e Venezia. Il secondo è che la Serracchiani è stata il più strenuo oppositore del progetto di Costa.
Ultimo aggiornamento: 27 Agosto, 08:02 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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