In pochi secondi la fine di un mondo
«Una scossa orrida come la morte»

Venerdì 6 Maggio 2016
Una delle prime pagine del Gazzettino sul terremoto del 1976
Pubblichiamo il fondo dell’allora direttore del Gazzettino, Lauro Bergamo, apparso sulla prima pagina (qui accanto la riproduzione) dell’edizione dell’8 maggio del 1976. (Dal Gazzettino dell’8 maggio 1976)

Dolce, caro Friuli.
Di maniera, si può anche cominciare così. Oppure piangendo sulle vittime. Le lacrime, se ci sono, il professionista dell’informazione ha caso mai il rammarico di non poterle spremere. Perché ha dentro altri problemi: il fatto, nelle sue precise dimensioni, le conseguenze nella loro estensione e in ogni loro implicazione, i rimedi da considerare, proporre, esigere.

Se poi gli resta, a questo professionista, un angolo suo personale allora quel cantone può anche dedicarlo al dolore da non rivelare ma da maturare nella propria esperienza di vita. Con questo animo ci si accinge oggi a dire agli italiani che nel Friuli, nel nostro Paese, nel mondo degli uomini civili è successa una cosa che ci coinvolge in un modo o nell’altro e che in ogni suo aspetto ci impone una risposta da cavar fuori da quello che si usa chiamare senso morale.
 
Un’unica consolazione nelle prime battute di questo dramma: che i soccorsi sono efficienti come non mai. Così sembra e se è un conforto, registriamolo. Sembra che da quelle parti dove il prato è stato verde fino a ieri, le acque chiare, la gente cortese e pacata, ogni rotellina giri per il proprio verso in un disegno armonico del quale sono prime protagoniste le forze militari dislocate nella Regione e la serietà di una popolazione che si è sempre distinta dalle altre per una sua linea di decoro civile che per quanto mi riguarda ha il fascino struggente degli esempi che non si ripetono.

Dolce e caro Friuli andato mezzo in malora con una scossa violenta che deve essere stata orrida come la morte e della quale fuori del Friuli abbiamo avuto soltanto la terrorizzante anticipazione. L’entità del disastro non è immaginabile ancora adesso. Quante siano queste vittime nessuno può dircelo, povera gente morta ammazzata nel momento in cui godeva attimi di serenità familiare. Le conseguenze non sono ipotizzabili ma è bene fin d’ora supporre che saranno peggiori di quanto si possa immaginare.

Insomma, una calamità. Se è vero quanto sappiamo e che tutti ci confermano, che perfino il monte Amariana è franato in una qualche sua pendice vuol dire che nel Friuli c’è proprio stata in quelle dozzine di secondi dell’altra sera la fine del mondo.

Ma sapete che cos’è l’Amariana per i carnieli? Quel monte a punta, triangolare, al quale si guarda come il simbolo di una patria, la sommità quasi sempre avvolta in stracci di nuvole, leggenda, storia e al limite anche cabala, perché dicono i vecchi rimbambiti che l’Amariana può rivelare se il tempo favorirà i pascoli oppure no, il fieno, le mele, il latte delle mucche e il momento buono per le transumanze. Questo posto, nelle cui ossa soltanto Nievo ha saputo trapiantarsi, è oggi ribollente come un cratere. Ad esso va un affetto senza parole di chi lo capisce e lo ama. E che ora dovrà rimpiangerlo, almeno per quella fetta di umanità e di natura che il terremoto ha cancellato.
Ultimo aggiornamento: 11:31 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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