Mannaia sulle province? In Veneto non
cambia nulla: erano 7 e resteranno 7

Giovedì 18 Ottobre 2012 di Alda Vanzan
La situazione attuale delle province venete (foto archivio)
VENEZIA - Riduzione delle province del Veneto: si passa da 7 a 7. E non un errore di stampa. Dopo tre sedute congiunte delle commissioni Affari istituzionali e Statuto del consiglio regionale, dopo le baruffe geografiche all’interno della maggioranza e degli stessi partiti (nel Pdl Isi Coppola che si scontra con Carlo Alberto Tesserin, nella Lega Cristiano Corazzari che chiama il segretario Flavio Tosi, nel Pd il diverbio tra Graziano Azzalin e Sergio Reolon), ecco servita la ricetta lagunare alla spending review del professor Mario Monti: mantenimento dello status quo.



Il Governo dice che bisogna eliminare le province che non rispettano i parametri della superficie e della popolazione e che dunque, nel Veneto, bisogna trovare una soluzione (accorpamento, unione, fusione) per Padova, Treviso, Rovigo, Belluno? Bene, per il Veneto - prima la Cal (Conferenza autonomie locali) e ieri mattina le due commissioni consiliari - il riordino va fatto così: sette province oggi, sette province domani.



I motivi? Specificità, identità, peculiarità. Così Belluno, Treviso, Padova, Rovigo sono "salve". E il Governo, a partire dal ministro Patroni Griffi che giusto ieri auspicava di «portare a compimento» il processo di riordino del territorio, dovrebbe accettare tutta questa "specificità" e lasciare, perché lo chiedono i consiglieri regionali, lo "status quo"?



I primi a non crederci sono i dipendenti delle Province che oggi (manifestazione organizzata da Cgil e Uil) caleranno in laguna per protestare: «Decidere di non decidere significa lasciar cadere sul Veneto un’indistinta mannaia che porterebbe al ridimensionamento dei servizi e delle prestazioni, oltre che a pesanti tagli occupazionali». Sono preoccupatissimi i bellunesi: la montagna poteva salvarsi se fosse stata chiesta un’unica deroga, non deroghe per tutti. Eppure, l’unica mediazione al Ferro Fini è stata questa: il documento originario preparato da Tesserin e Costantino Toniolo prevedeva due fasi, la prima di lasciare tutto com’è eliminando solo Rovigo, la seconda fase prefigurava due aree metropolitane comprendenti da un lato le province di Padova, Rovigo, e Treviso, integrate con la città metropolitana di Venezia, dall’altro le province di Verona e Vicenza.



Il documento, dopo le baruffe tra nord e sud, è rimasto tale e quale, tranne che per una correzione: nella prima fase Rovigo non sparisce più. Testuale: "Fatta salva in ragione della peculiarità territoriale del Polesine e in aderenza alle istanze provenienti dal territorio". Delle quali istanze, scommettiamo?, a Palazzo Chigi si faranno un baffo. Ma almeno in Regione la maggioranza (che per metà sostiene Monti) potrà dire: colpa del Governo.



Il voto in aula è previsto oggi, al più tardi domani. Ci sarà il documento del Pd illustrato da Bruno Pigozzo che prevede due Province metropolitane (Verona-Vicenza e Padova-Treviso), la Provincia dolomitica di Belluno, la richiesta di deroga per Rovigo, Venezia Città metropolitana. Ci sarà il documento della maggioranza Lega-Pdl che sarà illustrato da Toniolo per lo status quo. E - con 30 ore programmate di discussione - è prevedibile una valanga di emendamenti, di sicuro per rafforzare Belluno. Lo scontro nord-sud, del resto, ha raggiunto livelli da denuncia (alla polizia postale): accusati di voler cancellare Rovigo, i bellunesi Dario Bond (Pdl) e Sergio Reolon (Pd) hanno ricevuto una mail anonima di irripetibili ingiurie. Ma, forse, l’insulto peggiore sarà quello che arriverà dai banchi dell’opposizione: l’incapacità di governare il cambiamento. Diego Bottacin (Verso Nord): «Hanno vinto la paura, l’ipocrisia, i calcoli elettorali».
Ultimo aggiornamento: 19 Ottobre, 18:24 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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