Credito cooperativo, la riforma non è
ancora definita ma già la contestano

Venerdì 12 Febbraio 2016
Credito cooperativo, la riforma non è ancora definita ma già la contestano
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ROMA - Ancora non è scritta del tutto nero su bianco, ma la tanto attesa riforma del credito cooperativo già si profila come il prossimo terreno di scontro in Parlamento. La scelta finale del governo di scostarsi dal progetto messo a punto dopo mesi di confronto dalle stesse Bcc - che lascia infatti «perplessa» Federcasse - non convince non solo parte del mondo cooperativo ma anche i partiti. Se il Movimento 5 Stelle infatti chiede a Mattarella di non firmare il decreto, perché è «un attacco alla mutualità», anche parti della maggioranza non sono del tutto convinte della strada imboccata dall'esecutivo, a partire da Ncd, che già annuncia la volontà di apportare cambiamenti significativi nel passaggio alle Camere.

Il decreto, a dire il vero, è stato approvato 'salvo intese' e sarà oggetto di limature ancora per qualche giorno, sia al capitolo Bcc sia a quello della garanzia statale sulle sofferenze. Così come ancora si sta lavorando agli indennizzi, usciti all'ultimo dal decreto e tornati alla originale via dei provvedimenti amministrativi. Saranno infatti un decreto ministeriale e uno della presidenza del Consiglio, come indicato dalla legge di Stabilità, a definire i meccanismi per fare partire gli arbitrati che dovrebbero assegnare i 100 milioni del Fondo per l'intervento «umanitario» nei confronti degli obbligazionisti rimasti con un pugno di mosche dopo il salvataggio delle 4 banche - Etruria, Marche, Carife e Carichieti.

Per ora l'attenzione resta comunque focalizzata sulle Bcc. La più agguerrita contro il decreto è Confcooperative che lamenta il tradimento delle intese - che rischia di aprire una «falla disastrosa nel sistema» - e arriva a parlare di una «violenza istituzionale che riporta agli anni bui del fascismo». Una certa delusione traspare anche da Federcasse, che tanto aveva faticato a trovare una proposta unitaria per la riforma. Certo, l'impianto «è valido», dice il presidente Alessandro Azzi, esprimendo allo stesso tempo, però, «forti perplessità» e preoccupazione «riguardo alla possibilità di consentire, alle Bcc oltre una certa soglia patrimoniale, la cessione dell'attività bancaria ad una Spa con un affrancamento del 20% delle riserve indivisibili».

Proprio soglia di riserve oltre la quale è consentita la 'way out' (200 milioni di patrimonio) e prezzo da pagare per l'affrancamento, si riflette in ambienti parlamentari, saranno i temi su cui si rischieranno scintille durante l'iter di conversione, che, secondo alcune anime del mondo cooperativo, potrebbe trasformarsi in un vero e proprio 'Vietnam'. Se ad oggi, infatti, sono una manciata gli istituti che potrebbero scegliere di rimanere fuori dalla holding unica, nei 18 mesi di tempo per attuare la riforma c'è il timore che altri, che magari avevano mal digerito la via della capogruppo unica, possano organizzarsi per raggiungere quei requisiti.
Ultimo aggiornamento: 09:45 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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