Coronavirus, test negativi ma il medico è contagiato: positivo solo al terzo tampone

Mercoledì 18 Marzo 2020 di Angela Pederiva
Dottoressa positiva coronavirus

È una dei 656 sanitari che, secondo l'ultima rilevazione di Azienda Zero, sono finiti in quarantena. Cinquantenne, medico specialista in un ospedale di provincia, positiva. «Ma solo dal terzo tampone, mentre nei primi due ero risultata negativa e sono sempre stata pressoché asintomatica: lo dico perché c'è tutto un sommerso di casi come il mio che dev'essere portato a galla e quindi fa bene la Regione a promuovere test a tappeto per cercare di accertarne il più possibile», spiega al telefono dalla stanza in cui sta trascorrendo l'isolamento domiciliare fiduciario, come attualmente altri 8.657 in Veneto.

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NESSUN SOSPETTO
Dietro quei numeri, ci sono storie. La sua comincia a fine febbraio, quando per tutt'altra patologia visita un paziente che non desta nessun sospetto, tanto che non indossa alcuna protezione. «Ma all'inizio di marzo racconta in reparto veniamo a sapere che quella persona ha manifestato dei sintomi, ha fatto il tampone ed è risultata positiva, per cui gli infettivologi fanno partire l'indagine. Insieme al resto del personale entrato in contatto con quel caso di positività, veniamo sottoposti al test e messi in quarantena, in attesa dell'esito. Per diversi di noi è negativo, così come succede la seconda volta qualche giorno dopo, perciò rientriamo in servizio, a quel punto dotati di mascherine». Sono i momenti in cui la Regione, temendo un tracollo del sistema, chiede e ottiene dal ministero della Salute la deroga per i sanitari, assicurando il monitoraggio continuo dei dipendenti. «Così infatti accade riprende la specialista perché la mia azienda continua a controllare chi, come me, è entrato in questo vortice. Così una settimana fa arrivo alla terza analisi: solo allora risulto positiva, anche se sto bene e mi sembra impossibile». 

LE IPOTESI
Com'è possibile, appunto? La dottoressa si confronta con i colleghi del settore: «Le ipotesi sul tavolo sono diverse, ma nessuno è in grado di darmi una risposta certa. Forse nei primi due tamponi la malattia era ancora in fase di incubazione, forse la carica virale era particolarmente bassa: non lo sapremo mai. Quello che importa è che in Veneto sia partito fin da subito questo controllo così sistematico dei contatti stretti, in modo da far emergere le situazioni come la mia, e che pian piano a livello nazionale questo dato sia stato evidenziato, tanto che via via si sono prese decisioni in questo senso. Non si può più ragionare sui criteri clinici, per cui il sistema si attiva solo di fronte al paziente con febbre e tosse: bisogna considerare ogni contatto di noi positivi come potenziale veicolo di contagio».

POCHI METRI QUADRI
Così ora isolati in casa con lei, ma lontani da lei, ci sono anche i suoi cari. «È dura confida perché è difficile organizzare un serio isolamento domiciliare. Mi sono chiusa nella mia camera, da cui esco solo per recarmi in bagno. I miei familiari mi lasciano i pasti davanti alla porta, io ritiro il vassoio con guanti e mascherina, come loro quando riprendono le mie stoviglie e le mettono in lavatrice al massimo della temperatura. Per stare in pochi metri quadri, giorno e notte per due settimane, ci vuole un' organizzazione teutonica... Studio, leggo, tengo i contatti via cellulare con i miei colleghi in ospedale e pure con la mia famiglia nelle stanze accanto. Cerco di svolgere attività fisica, camminando su e giù per la stanza. E faccio yoga: la meditazione è fondamentale per non lasciar correre i cattivi pensieri. Al momento il mio decorso è regolare, ma da medico so che potrebbe improvvisamente verificarsi un peggioramento tale da richiedere il ricovero in ospedale. Ne sono consapevole, ma sarebbe deleterio per me abbandonarmi a questa paura». 
IL DESIDERIO
Nella borsa del dottore, un po' di rischio c'è sempre. «Fa parte del nostro mestiere osserva ma la preoccupazione è per i nostri familiari. Noi scegliamo questo lavoro, loro no. I miei colleghi rimasti in servizio mi dicono che alla sera hanno il timore di tornare a casa e infettare i loro figli». Ma il suo desiderio è comunque quello: ritornare in ospedale. «Mi ci vorranno ancora una settimana di quarantena e due tamponi a distanza di 24-48 otre l'uno dall'altro. Ma non vedo l'ora di rientrare al lavoro, per fare la mia parte. In tivù verso i sanitari vedo tante manifestazioni di affetto, flashmob un po' ovunque, il tricolore alle finestre. Bellissimo. Però....». Però? «Però mi dà particolarmente fastidio che ci chiamino eroi o missionari, perché non lo siamo. Noi siamo dei professionisti seri, che svolgono il loro lavoro con passione dedizione. Mi auguro che i cittadini se ne ricordino, quando tutto questo sarà passato. Domani saremo gli stessi di oggi e di ieri, anche se magari venivamo denunciati per un nonnulla o aggrediti in ambulatorio... Ecco, vorrei che la gente capisse quanto è prezioso il servizio sanitario nazionale, sempre».
Angela Pederiva
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Ultimo aggiornamento: 15:39 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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