Il mito della carriera all'estero cala: 10% in meno rispetto a un anno fa

Lunedì 31 Luglio 2017 di Natascia Porcellato
Il mito della carriera all'estero cala: 10% in meno rispetto a un anno fa
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Secondo Italo Calvino, “di una città non apprezzi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà ad una tua domanda”. In questo caso, la domanda per Londra o Parigi potrebbe essere: “per i giovani di oggi che vogliono fare carriera l’unica speranza è andare all’estero”? Sì, almeno guardando ai dati pubblicati oggi all’interno dell’Osservatorio sul Nordest del Gazzettino. Il 54% dei nordestini intervistati da Demos, infatti, si dichiara moltissimo o molto d’accordo con questa opinione anche se il dato mostra un segno negativo (-10 punti percentuali) rispetto a quanto rilevato l’anno scorso. 
Questa è la prima battuta d’arresto da quando è stato introdotto questo indicatore. Tra il 2008 e il 2009, agli albori della crisi, era il 40% a ritenere che valigia e passaporto fossero le chiavi essenziali per i giovani ambiziosi. Nel 2010 la quota era salita al 46%, ulteriormente cresciuta l’anno successivo (49%), per arrivare a superare la soglia della maggioranza assoluta (58%) nel 2012. Negli anni a seguire, la popolarità della posizione si è ulteriormente rafforzata: 59% nel 2013, 61% nel 2014, 63% nel 2015 e 64% nel 2016. La consistente diminuzione attuale è forse da ricondurre alla timida ripresa a cui abbiamo assistito negli ultimi mesi. Va sottolineato, comunque, come l’idea che i più giovani per fare carriera debbano abbandonare il proprio Paese continua ad essere ancora oggi patrimonio della maggioranza degli intervistati (54%). 
Ma imprenditori e lavoratori autonomi come la pensano? Tra di loro, il consenso verso l’idea che i giovani debbano emigrare per fare carriera si ferma al 41%: una percentuale molto al di sotto della media dell’area, dunque, ma piuttosto alta. Intuitivo, invece, è che l’accordo più ampio provenga da chi è disoccupato (76%). A sentire in maniera particolare questa posizione, inoltre, ritroviamo anche operai (60%) e impiegati (63%). Liberi professionisti (52%) e casalinghe (50%) si esprimono non distaccandosi troppo dalla media dell’area, mentre un sostegno inferiore viene accordato da studenti (49%) e pensionati (47%). 
Consideriamo congiuntamente l’influenza del genere e della condizione socio-professionale. Possiamo osservare che l’accordo verso l’idea che i giovani debbano emigrare tende a crescere tra i disoccupati (76%), mentre per gli altri settori non osserviamo distacchi netti dalla media degli uomini (52%). Al contrario, tra le donne il sostegno appare più netto e trasversale: lavoratrici (67%), disoccupate (72%) e studentesse (60%) mostrano infatti un’ampia condivisione dell’opinione proposta. 
Osserviamo, infine, la relazione tra genere ed età. L’idea che bisogna andare all’estero per fare carriera cresce in maniera considerevole tra le ragazze under-25 (62%), tra le donne tra i 35 e i 44 anni (75%) e tra quelle che hanno tra i 45 e i 54 anni (64%). Questi valori le separano in modo netto dai coetanei maschi, che non mostrano un convincimento tanto ampio.
Il problema, dunque, potrebbe non essere (solo) la crisi economica, ma (anche) un certo ritardo culturale. Quel ritardo che impedisce alle ragazze (spesso formate prima e meglio dei propri coetanei, come mostrano tutte le analisi sui risultati scolastici e universitari) e alle donne (spesso capaci come o più dei propri colleghi, come emerge dalle ricerche sull’argomento) di accedere ai contratti migliori o alle posizioni dirigenziali, fermate dai pregiudizi di genere e dalla mancanza di strutture di welfare che rendano possibile coniugare lavoro e famiglia. E le donne lo sanno: infatti, sostengono più degli uomini che l’unica chance per veder riconosciuti i propri meriti è andare all’estero. 
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Ultimo aggiornamento: 1 Agosto, 07:44 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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