Veneto a trazione Lega Nord, buio
del Pd, Cinque Stelle a zig-zag

Martedì 7 Giugno 2016 di Alda Vanzan
Chioggia, l'uscente Casson al ballottaggio con il sostegno della Lega contro i Cinque stelle
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La premessa è d’obbligo: il voto amministrativo è un’altra cosa rispetto alle Politiche, quando si sceglie un sindaco pesano circostanze locali, campanilistiche, soprattutto nei piccoli paesi contano più le persone che i partiti. Epperò dal voto che domenica ha interessato 82 comuni del Veneto portando alle urne quasi il 65% degli elettori, si possono cogliere chiari segnali politici.

Il primo è la figuraccia, per non dire disfatta, del Partito democratico. E verrebbe quasi da dire che è un Veneto ingrato questo che riserva al premier risultati così miseri, quando lo stesso premier aveva scelto proprio il Veneto per aprire le sue campagne elettorali, a partire da quella per le primarie ancora nel 2012, tuffandosi poi nella Marca leghista e lasciandosi cullare dagli applausi degli industriali. Ma forse i bagni di folla non bastano ai veneti e a distanza di poche settimane vien da ripensare ai fischi e ai buuu gridati a Verona al suo passaggio tra gli stand del Vinitaly. O, forse, la verità è più semplice: per ottenere risultati sul territorio bisogna investire sul territorio e dimostrare che esiste un partito che lavora e che decide, non che si lascia guidare dalle decisioni romane. Il Pd in Veneto è all’anno zero, dice impietosamente la senatrice Laura Puppato, ma se la media è un 10% come ha rilevato la collega deputata Simonetta Rubinato, c’è poco da essere ottimisti. È come se dalla sconfitta del 2015, quando il leghista Luca Zaia fece man massa di voti schiacciando la sfidante Alessandra Moretti, i democratici si fossero imbalsamati. E al di là dei localismi, il risultato più umiliante di questa tornata elettorale è il 5,86 per cento raccolto dal Pd a San Giovanni Lupatoto, comune veronese commissariato dove il sindaco "caduto" Federico Vantini, renzianissimo della primissima ora, non è nemmeno arrivato al ballottaggio. Il risultato migliore il Pd l’ha fatto ad Adria: 18%, ed è tutto dire. Poi è un calando continuo fino a uscire di scena in Comuni veneziani come la "rossa" Campolongo Maggiore e senza neanche andare al ballottaggio a Chioggia.

L’altro segnale politico è quello della Lega governativa. Il presidente della Regione Zaia ha fatto campagna elettorale praticamente a tappeto, ma molto hanno inciso anche gli amministratori locali, con sindaci uscenti che sono stati riconfermati già al primo turno. Praticamente un giudizio sull’amministrazione. I casi di Montebelluna con Marzio Favero e di Villorba con Marco Serena che hanno vinto subito con il 52% sono indicativi. «La gente ci ha premiato per le cose che abbiamo fatto», ha detto Favero. E sempre in casa leghista continuano a vincere i "vecchi" sindaci che portano sul podio i "delfini": è il caso di Cittadella, in provincia di Padova, dove il Carroccio governa dal 1994, da Lucio Facco a Massimo Bitonci a Giuseppe Pan, e continuerà a farlo nei prossimi cinque anni con la new entry di Luca Pierobon, premiato dal 58% degli elettori. Complessivamente è l’alleanza di centrodestra a spopolare specie quando la trazione è leghista. Ma ci sono anche trionfi come il 62% conquistato da Filippo Giacinti ad Albignasego.

Il terzo dato è l’andamento ondivago del Movimento 5 Stelle, anche se i risultati ottenuti a Chioggia e Vigonovo sono il segnale duplice di una insofferenza nei confronti di una politica incapace di dare risposte e della volontà di cambiare. È così che a Chioggia al ballottaggio vanno il sindaco uscente Giuseppe Casson col 35% (che cinque anni era sostenuto dal Pd, poi lasciato per strada, e oggi dalla Lega) e il pentastellato Alessandro Ferro col 21,8%, mentre nel paesotto rivierasco ce la fa il M5s di Andrea Danieletto sfiorando il 30%.

L’ultimo dato riguarda Luigi Brugnaro, il sindaco di Venezia che non è riuscito a esportare il suo "modello fucsia".

Ci ha provato soprattutto a Chioggia, dove la sua candidata Marcellina Segantin è giunta terza e le sarebbero bastati quattrocento voti per andare al ballottaggio. Segno che lo schema Brugnaro, se non c’è Brugnaro, non sfonda.

Ultimo aggiornamento: 13:26 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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