Pordenone. Maxi studio per scovare l'epatite C: in ospedale salvati pazienti che non sapevano di esserne affetti

Venerdì 1 Settembre 2023 di Redazione
Ricerca (foto d'archivio)

PORDENONE - Più di 4mila persone testate in meno di un anno, cioè tra il 5 settembre del 2022 e il 30 giugno del 2023. Un solo obiettivo: scovare il virus "C", quello per capirci che causa l'omonimo tipo di epatite, nella popolazione intraospedaliera. Quindi nei pazienti che si trovano ricoverati all'ospedale Santa Maria degli Angeli di Pordenone. Un progetto - chiamato "Dione" - che si è concluso con successo e che ha permesso soprattutto di scovare l'infezione in alcune persone che altrimenti non si sarebbero accorte di esserne affette.

Nella coorte dei soggetti coinvolti nello studio, l'età media era pari a 70 anni circa con una prevalenza del 59 per cento attribuibile al sesso femminile.

Ben 117 pazienti sono risultati positivi per anticorpi-Hcv mentre 45 pazienti sono risultati viremici (cioè Rna positivi) con una prevalenza dell'infezione nel campione corrispondente all'1 per cento. I soggetti viremici di origine straniera sono stati tre. La positività maggiore (79 per cento) per infezione da virus C è stata riscontrata nei reparti di Medicina Interna 1 e Medicina Interna 2. L'infezione da Hcv di nuovo riscontro è stata registrata in cinque pazienti che apparivano inconsapevoli della loro malattia e in un caso lo screening dei conviventi ha permesso di identificare un caso positivo. Otto pazienti viremici hanno già avviato la terapia antivirale.

Lo studio ha riguardato i pazienti ricoverati nei reparti di Medicina Interna 1, Medicina Interna 2, Ginecologia e Ostetricia, Neurologia e Chirurgia generale. Vista la disponibilità di terapie altamente efficaci e sicure nel trattamento dei pazienti con epatite C e considerata la tendenza del virus dell'epatite C a causare epatite cronica, cirrosi epatica, tumore primitivo del fegato e manifestazioni di danno extraepatico, il progetto pilota ha contribuito all'emersione del sommerso con incremento della diagnosi intraospedaliera dell'infezione e al raggiungimento della microeliminazione, sostenuta dall'Organizzazione mondiale della sanità. I principali ostacoli alla ottimizzazione della cascata di cura sono stati la presenza di importanti comorbidità e scarsa aspettativa di vita, il rifiuto alla terapia in alcuni soggetti ultraottantenni e la necessità di attesa temporale per la stabilizzazione clinica dall'evento acuto che ha condotto il paziente all'ospedalizzazione e che non ha reso possibile il trattamento immediato. 

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