Soffocò la compagna con un cuscino in preda alla gelosia: va a processo

L’assassino di Liliana Cojita, 55 anni, alla sbarra Youssef Molay Mahid

Sabato 16 Marzo 2024 di Marco Aldighieri
I rilievi dei carabinieri dopo l'omicidio

TOMBOLO - L’assassino di Liliana Cojita, romena di 55 anni, sarà processato in Corte d’Assise. Il prossimo 20 marzo i giudici popolari presteranno il loro giuramento, mentre la prima udienza è stata fissata per l’11 di aprile. 
Il 21 di marzo invece l’avvocato Corrado Perseghin del foro di Vicenza, in difesa dell’imputato Youssef Molay Mahid, riceverà notizie dalla Cassazione in merito al ricorso presentato per un vizio di procedura.

In caso di esito positivo, lo straniero potrebbe anche essere liberato. Attualmente è recluso nella casa circondariale Due Palazzi di Padova. Mahid, già davanti al Gip Maria Luisa Materia per l’interrogatorio di garanzia, ha da subito ammesso le sue colpe. «Non volevo ucciderla. Forse ho usato troppa forza o forse ho premuto con foga il cuscino per tanto tempo. Ho anche cercato di rianimarla». Il giudice, dopo avere acquisito agli atti le dichiarazione dell’indagato già rilasciate ai carabinieri, ha deciso di non convalidare il fermo chiesto dal pubblico ministero Roberto D’Angelo titolare delle indagini. Motivo, non ha riscontrato il pericolo di fuga da parte del marocchino che dopo 24 ore dal delitto si è costituito. Ha invece deciso per la custodia cautelare in carcere perchè Youssef potrebbe commettere nuovamente lo stesso reato. 

I FATTI
Il marocchino, irregolare sul suolo italiano e con alcuni precedenti, si sarebbe macchiato di un delitto d’impeto. La sua rabbia è esplosa per gelosia. Youssef, ad agosto dell’anno scorso, avrebbe “pizzicato” Liliana baciare un connazionale. Otto giorni prima di commettere il femminicidio aveva litigato con la compagna afferrandola con violenza per i capelli. 
Una escalation di rabbia e di minacce, arrivata al suo culmine la mattina del 21 settembre in quello stabile di via Vittorio Veneto. Dopo il delitto Youssef sarebbe uscito dalla sua stanza, pedalando in bicicletta per ore prima di tornare a casa per la notte. Quel mercoledì il nordafricano si trovava nella camera della fidanzata e ha visto da una finestra il presunto amante di lei, al volante di un’auto. 
Subito dopo Liliana ha ricevuto una telefonata al cellulare dal connazionale. Youssef non ci ha più visto, la sua rabbia è deflagrata come una bomba in quella stanza. La donna romena è stata sbattuta a terra, poi il marocchino le è montato sopra per bloccarle le braccia. Ormai Liliana era immobilizzata e a quel punto il 49enne ha preso un cuscino e lo ha premuto con forza sul viso di lei. Liliana dopo qualche interminabile manciata di secondi ha smesso di respirare. 

LA CONFESSIONE
L’uomo pensava fosse solo svenuta. Così ha preso il corpo e lo ha adagiato sul letto. «Ho capito che lui doveva passare a prenderla e abbiamo litigato. Non volevo ucciderla. Quando ho visto che non si muoveva pensavo che fosse solo svenuta, per quello l’ho messa sul letto. Ho provato a gettarle dell’acqua sul viso, a sentire con il dito se respirava. Quando ho capito che era morta sono andato nel panico. Non sapevo che fare. Io non volevo ammazzarla. Uccidere per il Corano è peccato e ho confessato» ha giurato Youssef ai carabinieri. La sera dell’omicidio il marocchino ha dormito nella sua stanza, vicina a quella di Liliana, stesa nel suo letto e ormai morta da una decine di ore.

 

Ultimo aggiornamento: 17:45 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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