Fallimento Sip, condannato per bancarotta il costruttore Cetera

Mercoledì 21 Febbraio 2024 di Marco Aldighieri
Antonio Leonardo Cetera

PADOVA - Il fallimento della Sip Srl, con sede in piazza De Gasperi, è finito con una condanna per bancarotta a un anno e sei mesi, in rito abbreviato, per l'ex presidente di Ance Antonio Leonardo Cetera di 76 anni. La società immobiliare padovana, dichiarata fallita dal Tribunale di Padova il 7 dicembre del 2017, è "sorella" della Deda Srl legata a filo diretto con il progetto mai realizzato della edificazione di un centro commerciale a Due Carrare in zona Castello del Catajo. Davanti al Gup, Maria Luisa Materia, ieri sono finiti cinque esponenti della famiglia di costruttori edili Cetera. Oltre al già citato Leonardo, anche la moglie Loretta De Majo 73 anni, e i figli Rodolfo 49 anni, Silvia 48 ed Enrico 41 tutti difesi dagli avvocati Luigi Ravagnan e Massimo Altissimo.

Fin dall'inizio del procedimento l'ex capo dei costruttori edili si è assunto le colpe del fallimento e della conseguente bancarotta.

«Mi sono preso tutte le colpe - aveva dichiarato Leonardo Cetera - e ho voluto essere processato con il rito abbreviato». Secondo l'accusa, rappresentata dal pubblico ministero Luisa Rossi, il danno patrimoniale sarebbe di un milione e 372 mila euro. La Procura aveva chiesto per l'ex presidente di Ance una condanna a 2 anni e 4 mesi, e l'assoluzione per due dei quattro capi di imputazione. Invece lo stesso magistrato, di fatto sposando la linea difensiva, aveva chiesto il proscioglimento per gli altri quattro imputati.

LA DECISIONE
Il giudice ha sì condannato Cetera per due operazione di denaro effettuate anche attraverso la Deda Srl, ma lo ha assolto per i capi 2 e quattro del capo di imputazione. Tuttavia l'ex capo dei costruttori dovrà risarcire con la somma 728.845 euro la Sip Srl rappresentata dal curatore fallimentare Flavia Morazzo e dall'avvocato Pietro Someda. Escono di scena invece la figlia Silvia e la moglie Loretta De Majo, che hanno rispettivamente incassato due proscioglimenti a testa attraverso le formule perchè il fatto non sussiste e per non avere commesso il fatto.
Una vittoria a metà invece per i figli Enrico e Rodolfo. Prosciolti per i punti 2 e 4 del capo di imputazione perchè il fatto non sussiste, sono stati rinviati a giudizio davanti ai giudici del Tribunale collegiale, il prossimo 12 di settembre, sempre per operazioni di denaro tra la Sip Srl e la Deda Srl.

IL PROGETTO
Sip e di conseguenza Deda, anche lei dichiarata fallita dal Tribunale di Padova nel 2020, erano due società "sorelle" legate all'area a destinazione commerciale di 160 mila metri quadri in via Mincana nel comune di Due Carrare. Qui, all'uscita del casello autostradale di Terme Euganee in A13, era prevista la costruzione di un centro commerciale da 32 mila metri quadri mai realizzata.
La Sopraintendenza ai beni culturali ha messo un vincolo paesaggistico, così il terreno da edificabile è rimasto agricolo. I costruttori Cetera hanno presentato due ricorsi amministrativi a Tar e Consiglio di Stato, ma li hanno persi entrambi.

L'ORGANIGRAMMA
Nell'ambito della Sip Srl, i cinque componenti della famiglia Cetera avevano i seguenti ruoli. Loretta De Majo è stata socia e amministratore unico della Sip dal 20 aprile del 2017 al giorno del fallimento. Enrico Cetera è stato socio e amministratore unico dal 15 aprile 2010 al 9 novembre del 2010, e presidente del consiglio di amministrazione della società dal 9 novembre del 2010 al 20 aprile del 2017. Quindi Leonardo Cetera è stato membro del consiglio di amministrazione della Sip dal 9 novembre del 2010 al 20 aprile del 2017. Poi Rodolfo Cetera è stato membro del consiglio di amministrazione della società dal 21 novembre del 2013 al 20 aprile del 2017, e infine Silvia Cetera è stata socia e amministratore di fatto di Sip e socia di Deda.
Leonardo Cetera, già dopo la penultima udienza davanti al Gup, aveva analizzato il perchè del fallimento della società e della conseguente bancarotta. «Siamo stati bloccati dalla Sopraintendenza e il centro commerciale non è più stato costruito. Quel terreno rimarrà per sempre agricolo. Da un valore di 21 milioni di euro è sceso a 700 mila euro». E ancora: «Il centro commerciale avrebbe creato almeno 800 posti di lavoro, adesso sono stati bruciati per sempre. E poi avevano investito nel progetto fondi internazionali. Così diventa difficile credere di poter lavorare in Italia. È stata una vicenda incredibile».
 

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