Il neosindaco Giordani: «Modello Padova a Roma per il bene del paese»

Venerdì 30 Giugno 2017
Il neosindaco Giordani: «Modello Padova a Roma per il bene del paese»
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PADOVA - Ieri il nuovo sindaco di Padova, Sergio Giordani, ha riaperto il municipio. Letteralmente. Il blocco deciso dal suo predecessore Massimo Bitonci, ossia l'obbligo di fermarsi alla guardiola dai vigili dove consegnare i documenti per poter entrare nella casa comunale, è stato eliminato. «Chiedere la carta di identità ai cittadini? Ai giornalisti che son sempre gli stessi? Era una follia».
Sindaco, Padova è una delle poche realtà in cui il centrosinistra ha vinto. È un unicum o un modello esportabile?
«Io sono un civico, è un civico anche Arturo Lorenzoni di Coalizione civica. Siamo sorretti da liste civiche e anche dal Pd cui va la mia gratitudine perché senza sarebbe stato impossibile vincere e anche senza alleanza sarebbe stato impossibile farcela. Abbiamo puntato molto sul civismo senza fare discorsi populistici, è stata questa la nostra barra. E Padova ha avuto una delle affluenze più alte: significa che i cittadini volevano cambiare».
O forse la molla è stata un'altra: alle urne non per votare lei, ma per mandare a casa Bitonci.
«Questo non lo so. Massimo Bitonci, con cui avevo anche un buon rapporto, ha fatto dei provvedimenti che si fa fatica a capire. E poi l'atteggiamento: non si può litigare col mondo. Ad esempio, sui migranti: il muro contro muro non è produttivo, le istituzioni devono collaborare. Dopodiché se domani mattina il Governo prende un provvedimento contro Padova, io prendo il treno e vado a protestare».
Padova è un laboratorio?
«È un laboratorio se c'è buon senso. Io ho radunato attorno a me praticamente tutti, esclusa la Lega, con l'obiettivo di pensare alla città».
Cosa risponde a chi sostiene che la vostra alleanza è un'operazione di potere, un comitato d'affari allargato?
«Simpatici (ride). Ma che potere, io mi sono preso la briga di sacrificare famiglia, affetti, azienda per dare una mano alla città. E non sono populista. Per me il sociale non è un costo ma un investimento, non voglio aprire centri commerciali, a me interessa la cultura, il turismo, l'ambiente. Qualcuno mi deve dire se la sicurezza è di destra o di sinistra, io dico che è un diritto».
Quello che avete fatto a Padova può essere ripetuto a livello veneto e nazionale?
«Sì, se c'è la voglia di fare, ma realmente, se non si fa politica ma si lavora nell'interesse dei cittadini. Non so se a livello nazionale sia fattibile, ma io lo spero: le forze democratiche dovrebbero mettersi assieme per lavorare per il bene della nazione».
Lei è un sognatore?
«Sì. Io sogno. Sogno a occhi aperti prima di addormentarmi».
La sostengono Giustina Destro e Flavio Zanonato: come farà a tenere assieme tutti?
«Giustina e Flavio sono miei amici, ma nessuno influisce sulle mie decisioni, ragiono con la mia testa. Le decisioni le prenderemo in giunta e ragioneremo in consiglio. Terrò tutti assieme con l'entusiasmo di fare le cose per Padova».
Daniela Ruffini, Rifondazione, entrerà in giunta?
«Non lo credo, non lo so, a me non ha chiesto nulla nessuno. Io mi sono preso le deleghe della sicurezza, emigrazione, case popolari».
Elezioni 1999: appoggiò Zanonato o Destro?
«Zanonato».
2014: Rossi o Bitonci?
«Ivo Rossi».
Quindi è più di sinistra che di destra.
«No, io guardo le persone. Se parliamo di Regione votavo altre persone, in Provincia ho votato la Degani. Politicamente io sono un democratico di centro, il classico democristiano di una volta. Però voto la persona».
Secondo lei perché il centrosinistra non riesce a conquistare la Regione Veneto?
«Penso sia un problema di persone. Questo non vuol dire che in Veneto non ci siano persone in gamba, vuol dire che c'è poco interesse per la politica».
Ius soli, sì o no?
«Sì, un figlio di immigrati che nasce qui ha diritto alla cittadinanza italiana. E sono a favore del matrimonio tra gay. E al testamento biologico: io per primo lo farei».
Ospedale di Padova, quando vedrà Zaia?
«A breve, voglio prima studiare le carte. Io sono per il nuovo su vecchio. Dicono che non si può? Mi confronterò con Zaia, il rettore, la Provincia. Tempo tre mesi e si decide».
La sua Trops spa ha un fatturato di 50 milioni, ha portato il Calcio Padova in serie A, è stato presidente in Interporto. E ha il diploma di perito tecnico: la dimostrazione che non serve la laurea per avere successo?
«No, no, ero io che ero uno studente disastroso, perdevo tempo a biliardo e calcio. E me ne sono pentito. I ragazzi devono studiare».
Dopo la doppia ischemia, cosa è cambiato nella sua vita?
«Ho capito che siamo fragili e che questa fragilità va usata al meglio: bisogna non lasciare cose incompiute, essere positivi, pensare anche agli altri. Se sono cambiato? Sì, ero un maniaco della precisione, ora lascio un po' andare».
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Ultimo aggiornamento: 08:56 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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