Padova. Lavoratori sfruttati, tra i dipendenti della coop anche un boss della droga

Domenica 11 Febbraio 2024 di Marina Lucchin
Il sequestro della coop

PADOVA - Tra banchi e le presse del laboratorio di Solidalia, c’era anche un ex boss della droga, così potente, all’epoca dello spaccio, che si poteva permettere di pagare ai suoi galoppini gli avvocati per impedirgli di finire indagati e spifferare tutto agli inquirenti.

Ma in Italia Khaled Baccouri, questo il nome del boss, non ci doveva proprio stare visto che nel 2019 era stato espulso quale pena alternativa al carcere, dopo aver passato dietro le sbarre quasi 3 degli otto anni a cui era condannato nel 2016. Eppure l’11 maggio 2023, quando c’è stata la prima ispezione della Squadra mobile, i poliziotti hanno scoperto che era stato assunto a tempo determinato da gennaio 2022 dalla società. E con un regolare stipendio, diversamente dagli altri stranieri, ospiti quali richiedenti protezione internazionale della cooperativa “Le Orme”, che invece venivano impiegati a busta paga zero. Costretti, secondo quanto scoperto dalla Mobile, a firmare un “patto formativo di inclusione sociale” a titolo di “volontariato” sebbene, come si legge nel decreto di sequestro preventivo, firmato dal Gip Maria Luisa Materia, “le mansioni a cui erano stati adibiti fossero del tutto estranee a quelle che pertengono al lavoro volontario nell’ambito di un ente del terzo settore (spontaneità e finalità sociale dell’attività diretta a favore della collettività) in quanto iscritti nel ciclo produttivo in attività di assemblaggio ed etichettatura”. 

L’INCIPIT

È stata proprio la scoperta di Baccouri al lavoro per Solidalia che ha aperto le porte all’indagine che ha portato al sequestro del laboratorio e a indagare l’allora presidente della coop (dimessosi a dicembre per rimanere una semplice consigliere di amministrazione) Paolo Tosato. 
Il tunisino non era “solo” un pusher, ma era un vero e proprio boss dello spaccio. Il suo nome inizia a comparire nelle cronache già nel 2011, quando inizia a fare il “grossista” di eroina. Nel 2015 si mette in affari con un connazionale e nel 2016 la coppia di spacciatori, giunge al culmine della “carriera” ma i due vengono arrestati e la Squadra mobile, diretta anche in quel caso dal sostituto procuratore Benedetto Roberti, scopre che Baccouri era così ben piazzato che appena c’era un problema tutti i suoi “dipendenti” si rivolgevano a lui.


VECCHIA CONOSCENZA

Il tunisino durante le indagini, era stato intercettato telefonicamente in più di una occasione. Un giorno aveva ricevuto una chiamata da una donna romena, anche lei finita nei guai con l’accusa di detenzione e spaccio di eroina. La donna aveva chiesto a Baccouri come mai non riusciva mai a vedere il marito marocchino in carcere. Il boss dell’eroina allora le aveva chiesto. «Chi è il magistrato?» e lei aveva risposto: «Roberti». Era seguito un attimo di silenzio poi Baccouri, lapidario: «Puoi pregare anche cento volte Allah ma con Roberti non riuscirai mai a vedere il tuo compagno. Anzi vedrai che starà dentro». Insomma, Baccouri dimostrò di conoscere molto bene il territorio in cui operava e soprattutto gli inquirenti, che poi si è ritrovato di nuovo sul suo cammino 8 anni dopo. 
Il tunisino era riuscito a organizzare un intenso spaccio di eroina, a partire dai primi mesi del 2014, tra Padova, Brugine e tutto il Piovese. In alcuni casi per vendere la “roba” sfruttava anche la bramosia di eroina di alcuni tossicodipendenti, che per lui avrebbero fatto di tutto pur di avere una dose gratis. Il primo della banda di Baccouri ad essere arrestato fu il braccio destro del tunisino. Il boss, a seguito del fermo del suo uomo di fiduciaprogettò anche un piano di fuga. I due, secondo una prima ricostruzione dei fatti, avevano intenzione di scappare all’estero: e furono arrestati mentre mettevano in pratica il piano, scendendo da un pullman.

Ultimo aggiornamento: 12 Febbraio, 10:58 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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