Longarone. Il gazebo rosa di Safilo al Giro d'Italia: «Quattro mesi di silenzio»

Sabato 27 Maggio 2023 di Giovanni Longhi
Lo stand Safilo al Giro d'Italia

LONGARONE (BELLUNO) - L’immagine di un paio di occhiali con fusto e stanghette rosa, ma con le lenti in frantumi è fissata al gazebo che si trova in piazza Umberto I; ai pali di sostegno sono legate le bandiere di Cgil, Cisl e Uil e il vento leggero che scende dal Cadore le scuote con dolcezza. Là sotto, all’ombra, però si respira tutt’altra atmosfera: il presidio di Safilo approfitta del passaggio del Giro d’Italia per carpire attimi di visibilità alle telecamere che seguono la kermesse.

Chi si aspetta blocchi clamorosi, proteste sguaiate, gente che si siede a terra per fermare tutto, resta deluso: qui la dignità della protesta detta atteggiamenti, frasi, sguardi e va di pari passo con una determinazione che nulla scalfisce. È quella della gente di montagna, abituata a lottare, una volta con gli elementi della natura, oggi contro un sistema che ha relegato in un buio ripostiglio il valore “uomo”.

Ne sa qualcosa Gianpietro Marra della Cgil che dal quel gelido mattino di fine gennaio, quando l’azienda comunicò che lo stabilimento di Longarone non era più strategico e che quindi 460 persone dovevano trovarsi un altro lavoro, non ha smesso un instante di pensare, con i colleghi di Cisl e Uil, come fare per evitare il disastro. Sono trascorsi quattro mesi, ma dal punto di vista concreto il quadro non si è mosso di un millimetro, come se fosse successo ieri. Peccato che per 460 famiglie «questo silenzio assordante da parte dell’azienda e la totale incertezza sul futuro stiano creando un solco profondo nel morale delle persone». Un senso di abbandono che lacera dentro: «L’ultimo episodio è di pochi giorni fa - ricorda Marra- era stato fissato un incontro con il manager Delle Piane per fare il punto della situazione il 5 giugno. Bene: hanno rinviato anche quello, di pochi giorni è vero, all’8, ma resta quel senso di indifferenza per il destino di centinaia di vite. L’azienda è radicata sul territorio, ha realizzato utili consistenti sfruttando risorse umane e finanziarie dello stato, non è in crisi, questi non stanno portando i libri in tribunale, solo traslocano dove i diritti umani e sindacali non esistono, il costo del lavoro consente margini di guadagno maggiori: è tutto lì, aumentare il profitto e considerare i dipendenti come scarpe vecchie».

Sulla stessa lunghezza d’onda Mauro Dalla Rosa della Cisl: «Se va tutto bene ci vendono, ma in questo momento la preoccupazione è forte, non si sa nulla, ma sino ad ora questa globalizzazione ha provocato solo danni enormi: mettano le carte sul tavolo, analizziamo lo stato dell’arte e poi vediamo come muoverci». Allarga le conseguenze di una possibile chiusura di Safilo Marco Frezzato della Uil: «Il rischio nel lungo periodo, oltre al dramma inimmaginabile per le famiglie interessate, è di impoverire il territorio alle prese già con un devastante spopolamento, l’impegno di tutti dev’essere quello di trattenere le risorse qui ora, cominciando proprio da Safilo, altrimenti, di questo passo il contraccolpo sarà devastante».
A dar man forte al grido di allarme che si leva dai lavoratori Safilo c’è anche Denise Casanova, segretaria provinciale della Cgil che filma con il telefonino gli interventi dei tre rappresentanti. Poi, mentre dall’Alemagna iniziano ad arrivare le prime ammiraglie dirette verso Belluno seguite dai ciclisti in passerella prima del via ufficiale poco più avanti, c’è il tempo per una foto di gruppo finale, ma il sorriso è di circostanza e lascia trapelare ombre come quei cirri minacciosi che si stanno addensando attorno alle vette lassù verso il Cadore.
 

Ultimo aggiornamento: 08:49 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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