L’Isis K, branca dello Stato Islamico che nelle impervie regioni afgane ha i suoi centri di comando dell’insurrezione islamista in tutta l’Asia Centrale, ci tiene ad appropriarsi della carneficina di Mosca, da pubblicare sul web una seconda rivendicazione con i volti oscurati degli attentatori, che sono quattro.
Tensioni a Sud Ovest
Il 7 marzo, in coincidenza con l’allarme dei servizi americani e britannici sui siti delle loro ambasciate, si è saputo che nella regione di Kaluga, a sud-ovest di Mosca, le teste di cuoio di Putin avevano sgominato una cellula dell’Isis Khorasan che preparava un assalto terroristico a una Sinagoga moscovita. Due miliziani kazaki, in una casa del villaggio di Koryakovo, erano rimasti uccisi. Ma era soltanto uno degli episodi di una guerra latente e mai interrotta della Rosgvardia e delle unità speciali del Cremlino contro la minaccia jihadista. Alla matrice islamista si aggiungono le rivendicazioni separatiste delle Repubbliche ex sovietiche a maggioranza musulmana del Caucaso e dell’Asia centrale, alle quali fra l’altro lo Zar ha attinto (più che ai giovani della classe medi di Mosca e San Pietroburgo) per mandare soldati al fronte in Ucraina.
Il Kazakistan è un Paese enorme che ha cercato di tenere nella crisi con Kiev un profilo neutro, ma che adesso si trova nel mirino dell’espansionismo dello Zar insieme a Paesi come la Moldova e la Georgia (che non sono musulmani).
Alle spinte indipendentiste di colore religioso si aggiunge l’ambizione dell’Isis K, acerrimo nemico dei talebani in Afghanistan, di ricreare uno Stato Islamico dal Pakistan alla Siria (dove l’esercito di Putin ha con successo combattuto al fianco di Assad proprio contro l’Isis), passando dall’Asia centrale fino alle pendici del Caucaso. Rocambolesco il tentativo di fuga dopo l’attentato, attraverso le foreste, con un’automobile bianca targata Bielorussia. Ma Putin sostiene che il veicolo cercava di attraversare il confine con l’Ucraina, non quello col Paese che ha per dittatore l’alleato e sodale Lukashenko. Incredibile che i terroristi siano riusciti sul momento a far perdere le loro tracce nella folla, uscendo dalla sala concerti illesi, a dispetto delle armi e dell’afflusso di corpi speciali della Rosgvardia, la Guardia che lo Zar ha creato ex novo come una sorta di esercito personale e al tempo stesso politico, con funzioni di protezione del Cremlino e di repressione ai fini dell’ordine pubblico.
Il covo dei terroristi
L’Inguscezia, i cui militanti islamisti in passato si sono trovati in prima linea in azioni terroristiche, è una piccola Repubblica che fa da cuscinetto tra Cecenia e Ossezia del Nord, alle pendici del Caucaso. Ed è qui, come a Dushanbe in Tagikistan (il cui governo prova a rimarcare la distanza dai terroristi), che crescono e si nutrono le cellule dell’Isis K. Allo stesso modo, i servizi di sicurezza interni russi continuano a monitorare strettamente la situazione in Cecenia, dove Kadyrov non a caso si è affrettato a condannare l’attentato, perché anche qui cova la rivolta. Il risultato paradossale è che truppe cecene ostili a Kadyrov e Putin si sono ritrovate a combattere in Ucraina al fianco degli ucraini, contro i loro stessi connazionali ceceni. In queste ore, in tutta la Federazione russa, le unità speciali stanno applicando un giro di vite su tutti i sospetti di affiliazione al jihadismo. Problema che Putin cerca di piegare a proprio vantaggio, indirizzando le accuse non sull’Isis, che gli cova in seno, ma sull’Ucraina di Zelensky. È presumibile che lo stragismo dell’Isis continuerà a essere per Putin una pericolosa spina nel fianco.