Il portavoce di Hamas, Khaled Qadomi, li chiama «prigionieri di guerra, non ostaggi».
C'è il corpo seminudo e con le gambe spezzate in un impossibile disegno a X di una povera donna, forse una soldatessa, a pancia giù in un veicolo militare, già cadavere, la faccia sfigurata e insanguinata esposta agli sputi, in un tripudio di armi al cielo e urla di «Allah è grande». C'è il video di una famiglia israeliana, padre e madre rannicchiati coi figli che in sottofondo piangono e lei a un tratto urla «è il mio bambino!». Le domande al padre incalzano, sempre più minacciose. Il calvario delle donne lascia atterriti. Una ragazza è riversa sul sedile di un'automobile, morta, con un foro secco di pallottola che l'ha trapassata sotto l'ascella. Un'altra viene spinta a forza, un braccio sanguinante, scalza, dentro un furgone mentre i militanti la filmano per ricordo.
Due anziane, una che viaggia col sorriso candido della demenza guardando inconsapevole dentro l'automobile tre guerriglieri coi fucili alzati che sghignazzano guidando verso la Striscia, forse. Un'altra vecchietta ha un leggero tremore di paura tenuto a freno da uno sforzo di dignità mentre fa il segno della vittoria con un mitra fra le gambe, accanto a un miliziano mascherato che ugualmente mostra le dita a V. Forse è già morto il soldato estratto da un carro armato, dalla torretta, giù a terra. Un altro, ferito, è trascinato nella sabbia per la giacca, si volta e guarda indietro un commilitone a terra, ucciso. E poi la corsa dei ragazzi che, in migliaia, ballavano nel deserto per il rave di Sukkot: i mitra dei miliziani sparano ad altezza d'uomo, tanti cadono nel tentativo di raggiungere le proprie auto per fuggire, altri vengono caricati nei mezzi e portati via. Qualcuno si finge morto nella speranza di salvarsi.
COME TROFEI
Ancora, video di lavoratori asiatici catturati e portati via in Lambretta. E poi donne e bambini pigiati dentro un blindato, piangenti, filmati dall'esterno come animali in gabbia. E un risciò a motore, questo già dentro Gaza, con una coppia di israeliani esibita come un trofeo di guerra. Se si può chiamare guerra. E lo sguardo implorante, in lacrime, di una ragazza dal volto bellissimo che allunga la mano verso il compagno catturato, costretto a camminare, zoppicando, le mani legate dietro la schiena. Lei portata via su un motorino. Nel magma infernale del web e di canali Telegram non tutti verificabili, spicca la foto di un "ufficiale israeliano" con improbabili occhiali scuri, in mutande. Poi c'è la serie di sequenze dalle finestre delle cittadine attraversate dai pick-up dei militanti di Hamas. Immagini surreali di normali centri urbani dove le automobili scivolano ignare incrociando invasori che sparano, uccidono. Che mirano a ogni israeliano che vedono passare. A ogni auto, anche alla balaustra da dove si sta riprendendo il video. Urla, sirene, grida. Colpi di kalashnikov. Appena oltre la barriera che è stata divelta o scavalcata o rotta con caterpillar, deltaplani e pick-up, il rottame annerito di un carro armato israeliano. E viene da pensare ai kibbutz che esistevano da anni a pochi metri dal muro, con gli ebrei che potevano quasi guardare in faccia i palestinesi dall'altra parte e avevano creato un guscio in cui la vita poteva scorrere, o sembrava potesse scorrere, al riparo dai razzi, e si ricordavano i morti di qualche precedente attacco terroristico. Muri colorati a difesa del parco dei bambini, le fermate del bus come piccole casematte di cemento armato. E bunker ovunque.