Quel malessere del Nordest che aspetta risposte

Martedì 6 Dicembre 2016 di Roberto Papetti
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Narrano le cronache che Matteo Renzi, nel tardo pomeriggio di domenica, di fronte ai dati sull'alta affluenza e ai primi, riservati, exit pol, abbia commentato amareggiato con alcuni stretti collaboratori: «Sono andati a votare in massa per mandarmi via». Se questo è vero, lo è a maggior ragione per il Veneto e il Nordest nel suo complesso. Basta osservare la cartina dell'Italia dopo il voto referendario per rendresene conto. Il Veneto è in assoluto la regione dove si è votato di più: oltre il 76,5% degli aventi diritto, in Friuli Venezia Giulia tre punti in meno. Ma soprattutto il Veneto è la regione del Centro-Nord dove il No ha raggiunto le percentuali più elevate: il 62%, due e passa in più della media nazionale e, soprattutto, quasi 6 punti in più rispetto a Lombardia e Piemonte.

Eppure non si può certo dire che Venezia e le altre città siano state trascurate dal premier durante le campagna elettorale. Renzi si è speso molto: ha visitato aziende, tenuto affollati comizi, aperto i cordoni della borsa stipulando un ricco patto con il sindaco di Venezia. Tutto inutile, il No ha vinto o stravinto quasi ovunque, con le sole eccezioni di un decina di paesi e quelle del centro storico di Padova e di alcuni sestieri del cuore di Venezia. È immaginabile che, come altre volte, questo risultato, imprevisto nelle sue clamorose dimensioni, venga sbrigativamente letto come la naturale conseguenza di un territorio storicamente orientato a centro-destra, con spiccate simpatie leghiste e anti-statali. Un'analisi superficiale, che confonde la causa con l'effetto. Perché la sconfitta senza appello del Sì e di Renzi in Veneto non è merito di Zaia o del Movimento 5 Stelle e dipende solo marginalmente dai contenuti della riforma della Costituzione su cui gli italiani erano chiamati a pronunciarsi.

La valanga di No è innanzitutto la conseguenza di un disagio profondo, diffuso e ampiamente sottovalutato, che ha trasformato il Veneto e il Nordest da locomotiva d'Italia a polveriera politica, a territorio-simbolo della protesta e delle inquietudini del Nord del Paese. Un colpo decisivo l'ha inferto la crisi delle Popolari che ha fatto svanire nel nulla 7-8 miliardi investiti da imprese e famiglie nelle azioni delle banche venete. Un'emorragia di ricchezza che altrove avrebbe forse generato sommosse di piazza. In Veneto, che è terra di rivoluzionari ma non di rivoluzioni, non è successo nulla di tutto questo, ma il crack delle popolari ha fortemente contributo a impoverire le famiglie e a ingrossare il partito dello scontento e del malessere che domenica ha votato massicciamente No al referendum.

Sarebbe però riduttivo limitare tutto a una pura questione economica, di schei. Il malessere del Nordest è qualcosa di più profondo e insieme di potenzialmente disgregante. Il Veneto resta una delle aree con il più alto tasso di imprenditorialità e di benessere diffuso d'Italia e d'Europa. Ma negli ultimi anni ha visto sgretolarsi molte delle sue certezze, ridurre la propria autostima insieme alla capacità di produrre valore e di guardare al futuro con fiducia e senso di protagonismo. Non è un caso che il tasso di natalità sia, da qualche tempo, uno dei più bassi in assoluto: si fanno sempre meno figli, ancor meno che in altre zone del Paese. In questo clima, i fenomeni migratori, malamente o per nulla gestiti da governi nazionali e comunitari, sono un ulteriore, micidiale detonatore di pericolosi conflitti in un territorio che ha già la più elevata presenza di stranieri: incrinano il senso di sicurezza, generano nuove tensioni sociali, acuiscono il distacco dai poteri statuali. Non sono fenomeni diversi da quelli che caratterizzano molte aree del Paese, da Nord come a Sud. Ma a Nordest, come testimonia anche la valanga di No, hanno avuto un impatto più traumatico e acuto, al punto dal mettere in discussione un modello economico-sociale e la funzione-guida che questo territorio ha avuto negli ultimi decenni nel Paese.

Di fronte a un quadro come questo suonano davvero stonate o inadeguate tante analisi ascoltate in queste ore. Da sinistra come da destra. Certamente le tecnicalità politiche, in momenti di transizione come questi, hanno il loro peso e la loro importanza: serve un governo che conduca in porto la manovra di bilancio e prepari le elezioni. Ma è d'obbligo saper guardare oltre: perché se la classe politica, nessuno escluso, non riesce a sintonizzarsi sulle ragioni del malessere e a fornire alcune risposte, il rischio che abbiamo davanti a noi è la disgregazione ed il declino. A Nordest e in Veneto, prima che altrove.
Ultimo aggiornamento: 15:07 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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