Ignorare chi usa il presepe
per farsi propaganda

Mercoledì 16 Dicembre 2015
Caro direttore, un calciatore guineano del Bologna è stato espulso e successivamente squalificato dal giudice sportivo, per avere reagito polemicamente mimando i gesti del gorilla contro i tifosi del Genoa che lo avevano insultato con i soliti e idioti ululati razzisti. Ancora una volta il mondo del calcio ha perso una grande occasione per dare un esempio e dire basta, non solo a parole, al razzismo e alle manifestazioni di intolleranza contro i giocatori di colore. Difficile attendersi qualcosa di diverso pensando che ai vertici della Federazione Gioco Calcio siede ormai da qualche mese quel Carlo Tavecchio che a più riprese ha avuto modo di esprimere, senza che si levassero particolari polemiche all'interno dell'organizzazione, la propria opinione in merito ai calciatori di colore definiti "mangiabanane", agli ebrei da "tenere a bada" ed agli omosessuali da "tenere lontani".
Renzo Bulbarella

Torreglia (Pd)

Caro lettore,
non sono mai stato tenero con Tavecchio e le sue improvvide uscite. Ma non attribuiamogli troppa importanza. La realtà, temo, sia un po' più complessa. Il calcio professionistico è uno straordinario spettacolo. Anzi, lo dico da appassionato, è forse lo spettacolo più bello del mondo. Ma, soprattutto ad alto livello, risponde a regole che spesso hanno poco hanno a che fare con la civiltà e la civile convivenza. Gianni Brera diceva che «il calcio è un gioco, ma mima la guerra». E in guerra, si sa, le regole vengono spesso sovvertite o ignorate. Certo: la Fifa e la Uefa propongono educativi spot contro il razzismo e la violenza, promuovono campagne per il rispetto degli avversari, coinvolgendo i calciatori più famosi. Nobili e sincere iniziative. Probabilmente anche molto utili. Ma basta poi guardare a cosa succede in campo od ascoltare i cori che provengono dalle tribune per rendersi conto che la realtà dello stadio è assai diversa. Che lì non conta partecipare, ma solo vincere. In quale modo non è poi così importante. E' questo l'unico, vero valore. Tutto il resto, principi di civiltà compresi, passa in secondo piano. Sia chiaro: non per questo bisogna tollerare le urla razziste o gli insulti da parte del pubblico, dei giocatori o degli staff delle squadre. Anzi, tutti questi atti andrebbero puniti con una severità assai maggiore, senza sconti od opportunismi. Ma, per favore, basta con l'ipocrita retorica del calcio come esempio o come scuola di vita. Allo stadio o davanti alla tv, quando si guarda una partita della propria squadra del cuore, nessuno di noi dà il meglio di se stesso. Anzi molto spesso accade proprio il contrario. Forse perchè, come scriveva il premio Nobel Eugenio Montale: «Dallo stadio calcistico il tifoso retrocede a un altro stadio: quella della sua infanzia».
Ultimo aggiornamento: 14:47

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