Caro Direttore, Elly Schlein vince in Sardegna per un pugno di voti, Giorgia Meloni vince in Abruzzo con largo margine: se si fosse trattato di una sfida calcistica, avrebbe vinto la premier perché ha fatto più gol, pardon voti.
Enzo Fuso
Lendinara (Rovigo)
Caro lettore,
non confonderei la Champions con le recenti elezioni regionali.
Il voto in Abruzzo e la vittoria, in questo caso incontestabile, del centrodestra rappresentano, per molti aspetti, un ritorno alla realtà. Perché ci dice alcune cose. Che il campo largo e larghissimo non è una garanzia di vittoria per il centrosinistra. O meglio: ci dice che lo schieramento progressista non perde perché appare e si presenta diviso, ma perché è realmente diviso. Nel senso che non solo è lontano dall'aver trovato una leadership riconosciuta e condivisa a livello nazionale, ma al suo interno coesistono posizioni politiche e visioni della società difficilmente compatibili. Questo naturalmente non esclude che in alcune tornate elettorali locali, anche a causa degli errori degli avversari, il centrosinistra possa prevalere, ma a livello generale il campo largo resta ancora soprattutto un'addizione più che una di formula politica vincente. D'altro canto per il centrodestra il voto abruzzese rappresenta un test positivo, ma anche un segnale di scampato pericolo.
E torna a ricordare alla coalizione di maggioranza quanto siano importanti gli uomini e le leadership locali per vincere ed amministratore nei territori. E sottolinea che, alla lunga, non è sostenibile che Giorgia Meloni si faccia carico di tutto: della guida del governo, della gestione della maggioranza e dei suoi conflitti e anche del ruolo di acchiappa voti a livello locale. Le lune di miele non sono eterne per nessuno e le scorie dell'attività di governo possono complicare e rallentare il cammino di chiunque. Soprattutto in un paese dove si vota sempre e dove ad ogni elezione viene attribuito un valore e un significato nazionali. Sarà bene non dimenticarlo in vista delle Europee di giugno.