Telefonate mute agli amici, Cassazione: rischio condanna anche se vittima ritira la denuncia

Mercoledì 27 Marzo 2019
Telefonate mute agli amici, per la Cassazione si rischia la condanna: anche se vittima ritira la denuncia

Non sono da sottovalutare le conseguenze, penali, delle telefonate mute fatte "per scherzo" a persone che si conoscono e che poi, dopo che le indagini hanno smascherato l'autore, sono pure disposte a ritirare la denuncia contro ignoti presentata per lo stato d'ansia e turbamento suscitato dalle chiamate anche notturne dell'anonimo. La denuncia non si ferma e prosegue il suo corso - avverte la Cassazione - perchè gli squilli muti sono un fatto di «ordine pubblico» e non una burla dato che suscitano timori e angosce.

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Così la Cassazione ha stabilito che le chiamate anonime non possono "finire a tarallucci e vino" quando si scopre che il rompiscatole è un conoscente perchè «il reato di molestie o di disturbo alla persona mira a prevenire il turbamento della pubblica tranquillità attuato mediante l'offesa alla quiete privata». «Pertanto - spiegano gli 'ermellinì non inclini a chiudere un occhio - viene in considerazione l'ordine pubblico, pur trattandosi di offesa alla quiete privata», e dunque «la tutela penale viene accordata anche senza e pur contro la volontà delle persone molestate».

La marcia indietro non vale. Per questo la Suprema Corte ha confermato la condanna penale alla pena di 200 euro di ammenda - per molestie - nei confronti di Pietro S., un abruzzese di 46 anni nato a Lanciano (Chieti), che dal marzo al maggio 2015 aveva fatto «numerosissime telefonate di giorno e di notte» sul cellulare di una donna che si era preoccupata e infastidita tanto da denunciare l'accaduto. Solo in seguito agli accertamenti della polizia, l'uomo è stato identificato e la vittima lo ha riconosciuto come uno dei suoi amici che, peraltro, aveva già fatto questo 'scherzettò ad altri conoscenti.

Tutto non si è concluso con una pacca sulla spalla ma davanti al Tribunale di Lanciano che nel novembre 2017 ha multato Pietro S.

e a nulla è servito il tentativo dell'amica di lasciarsi alle spalle tutti gli squilli muti. «Ai fini della sussistenza del reato - sottolinea la Cassazione nel verdetto 13363 - gli intenti scherzosi o persecutori dell'agente sono del tutto irrilevanti, una volta che si sia accertato che, comunque, a prescindere dalle motivazioni che sono alla base del comportamento, esso è connotato dalla caratteristica della petulanza, ossia da quel modo di agire pressante, ripetitivo, insistente, indiscreto e impertinente che finisce, per il modo stesso in cui si manifesta, per interferire sgradevolmente nella sfera della quiete e della libertà delle persone».

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