Società partecipate, doccia fredda sui precari: «Serve un concorso»

Domenica 18 Giugno 2017 di Angela Pederiva
Società partecipate, doccia fredda sui precari: «Serve un concorso»
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Una società partecipata? È tale e quale ad un ente pubblico, perciò «il reclutamento di personale deve avvenire per concorso pubblico» e l’affidamento di incarichi di lavoro autonomo deve «avvenire nel rispetto delle norme sul pubblico impiego», quindi per specifici progetti e senza possibilità di stabilizzazione. A gelare le aspettative dei numerosi collaboratori delle aziende controllate dalle istituzioni, nell’ordine delle migliaia a Nordest, è una sentenza-pilota del tribunale di Venezia, che ha respinto il ricorso di tre professionisti contro Veneto Acque.
Ingegneri, tecnici ambientali, esperti di bonifica: fra il 2008 e il 2011 i tre addetti avevano stipulato con la società di Mestre, diretta emanazione della Regione e operante nel servizio idrico integrato, diversi contrattati di collaborazione a progetto, tutti prorogati più volte fino al 2015, nonché un contratto a termine scaduto alla fine del 2016. Anni di precariato che i collaboratori, assistiti dall’avvocato Sandro Grandese, ritenevano illegittimo, in quanto il rapporto di lavoro non si sarebbe limitato ad un progetto determinato ed avrebbe avuto natura subordinata. Per questo i professionisti avevano chiesto il riconoscimento della qualifica di impiegati di settimo livello, con conseguente rideterminazione retributiva e contributiva.
A questa tesi si è però opposta Veneto Acque, difesa dall’avvocato Marco Zanon dello studio BM&A di Treviso, precisando innanzi tutto l’essenza della concessionaria: «Si tratta di una società in house, interamente partecipata e controllata dalla Regione, a cui si applicano i princìpi di trasparenza, pubblicità e imparzialità valevoli per le pubbliche amministrazioni. Dunque formalmente è una Spa, ma di fatto è equiparabile ad un ente pubblico». Una puntualizzazione cruciale, per escludere questo tipo di realtà dall’ambito privatistico, in cui vertenze di questo tipo vengono risolte verificando la sussistenza di due tipi di presunzione, come sottolinea il legale: «Primo passo: scatta la collaborazione coordinata e continuativa se il titolare di partita Iva soddisfa almeno due delle tre condizioni indicate dalla legge Biagi (lavorare per lo stesso committente per almeno otto mesi in due anni, fatturargli più dell’80% dei propri corrispettivi, avere una postazione fissa nella ditta). Secondo step: in assenza di un preciso progetto, il contratto viene trasformato in un rapporto subordinato a tempo indeterminato».
Due possibilità che però, secondo il giudice Paola Ferretti, non valgono per le aziende pubbliche: «La natura di società per azioni totalmente partecipata da capitale pubblico impone alla stessa, fra gli altri, l’osservanza di una serie di princìpi relativi alla gestione dei servizi di reclutamento del personale, al pari delle Pubbliche Amministrazioni, in considerazione delle risorse totalmente pubbliche a sua disposizione». Osserva al riguardo l’avvocato Zanon: «L’interesse privato al posto fisso soccombe a fronte del prevalente interesse pubblico al contenimento della spesa e alla selezione del personale più capace attraverso lo strumento del concorso».
Prima in Italia, è verosimile che questa sentenza farà giurisprudenza. Restano però gli interrogativi sul futuro strategico delle partecipate, sottoposte come gli enti pubblici a pesanti tagli e al blocco delle assunzioni fino a giugno del 2018 e per questo destinate a ricorrere largamente alle collaborazioni di esterni. Lavoratori dunque necessari, ma che in questo cortocircuito contabile-normativo non possono essere stabilizzati.
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Ultimo aggiornamento: 19 Giugno, 07:02 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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