Terremoto, i sopravvissuti: «Noi salvi per miracolo, usciti vivi dall'inferno»

Venerdì 26 Agosto 2016 di Mario Bergmini
Terremoto, i sopravvissuti: «Noi salvi per miracolo, usciti vivi dall'inferno»

RIETI Cure mediche e assistenza psicologica per i sopravvissuti, un ricovero temporaneo e adeguato, in attesa dei funerali, per coloro che non ce l'hanno fatta. La complessa gestione del post terremoto parte sempre dalla stessa stazione, ma i binari e le necessità di intervento conducono spesso in direzioni diverse, non sempre facili da individuare. E se la risoluzione della problematica relativa ai feriti ha trovato una pronta ed efficace risposta, sfociando quasi naturalmente tra gli ospedali di Rieti, L'Aquila, Roma, Teramo, Perugia, Spoleto e Terni, l'allocazione dei cadaveri, le procedure di riconoscimento e la successiva riconsegna ai familiari hanno attraversato percorsi contraddittori, oggi non ancora definiti in tutti i loro aspetti.

ULTIME DESTINAZIONI
Le vittime del sisma radunate prima nel garage della scuola alberghiera, i volti ancora ricoperti di sangue, poi trasferiti all'istituto Don Minozzi, ora sono destinati a Rieti. Cadaveri in attesa di riconoscimento o con familiari e parenti impossibilitati a prendersene cura, saranno dirottati in un hangar dell'aeroporto Ciuffelli di Rieti. Una struttura recentemente costruita dall'Aero club, rinfrescata con grandi celle frigorifere, dove avverranno le procedure di riconoscimento e successiva consegna ai familiari. Una decisione sofferta, per nulla scontata, giunta al termine di una giornata convulsa, iniziata con la volontà della Prefettura di Rieti di suddividere i cadaveri tra le camere mortuarie dei vari ospedali che avevano già accolto e curato i feriti, passata attraverso la rivolta degli amatriciani, contrari a portarsi lontano dalla loro terra per un passaggio formale ulteriormente doloroso, e terminata con la decisione di requisire il nuovo hangar del Ciuffelli e trasformarlo in temporanea camera mortuaria. Si è invece allentata la pressione sui «pronto soccorso» degli ospedali, ieri chiamati ad operare su 380 feriti, contro i mille e 300 della prima giornata. Restano in gravi condizioni 53 ricoverati, tra cui una bambina che ha subito una fortissima contusione renale. Nessuno, però, rischia più la vita. Ed iniziano ad emergere le storie di chi ce l'ha fatta. Il più delle volte dolorose. Claudio Neroni, titolare di una lavanderia a Giulianova, era andato ad Amatrice per la Sagra, tornerà a casa senza più la sua famiglia originaria. Nella notte della scossa ha perso entrambi i genitori e il fratello più piccolo. E' andata decisamente meglio a Maria Rita, rimasta tre ore sotto le macerie. Tre ore di speranza e di preghiere. Di paura e di dolore. Viveva ad Amatrice, insieme al marito e alla cognata. Maria Rita Serafini, 71 anni, e Marcello Tursini, 76, ce l'hanno fatta: sono stati estratti dal cumulo di sassi e cemento che ha ricoperto tutto. Mobili, strade, corpi. Ma la loro casa di via del Castagneto, fuori dal centro storico, è diventata la tomba di Iride Tursini, 83 anni, che stava dormendo in una terza camera da letto, a pochissimi metri di distanza.

VOCI E APPLAUSI
Maria Rita, costole fratturate e ferite al braccio sinistro, è ricoverata nel reparto di Chirurgia generale dell'ospedale di Chieti. E' arrivata con l'elicottero, mercoledì pomeriggio. «Dormivo quando è arrivato il terremoto - attacca Maria Rita, che sul volto porta i segni del crollo - è successo all'improvviso, non abbiamo avuto tempo di alzarci. La mia casa è crollata subito. Mi è piovuto addosso di tutto: sassi, cemento. E sono rimasta bloccata nel letto, sul fianco sinistro. A salvarmi la vita è stata la spalliera del letto: venendo giù, mi ha protetto creando quel piccolo vuoto che mi ha permesso di respirare». Quando sono arrivati i soccorritori era giorno. «I vigili del fuoco, orientati dalla mia voce, hanno cominciato a scavare: sono stati bravissimi, sono stati i miei angeli. Dicevano: «Stia calma, la liberiamo noi». Poi hanno dovuto segare quella spalliera che mi ha salvato la vita. Così, mezz'ora dopo il loro arrivo, ho rivisto la luce». Ad accoglierla, un lungo applauso. «C'era mio figlio, che è arrivato da Roma, e mia figlia, che fino all'altro giorno abitava lungo il corso di Amatrice e lei stessa è viva per miracolo». Più tardi, Maria Rita ha scoperto che anche il marito ce l'aveva fatta: adesso è ricoverato all'ospedale San Salvatore dell'Aquila. Ancor più singolare la storia di Michele Palermo e della moglie Lucia Pizzingrilli originaria di Accumoli. Lì si trova la sua casa materna, sulla vecchia Salaria. Quattro piani, cantina a pian terreno. Lei e suo marito la notte del 24 si trovavano al primo piano: «In quel momento eravamo a letto, stavo per alzarmi quando ha cominciato a traballare tutto e il soffitto ci è caduto addosso - racconta la Pizzingrilli - le porte erano bloccate ed è grazie a mio nipote che ha trovato una scala e dal balcone ci siamo salvati, e siamo usciti miracolosamente vivi». Acciaccati, ma vivi.
Ultimo aggiornamento: 27 Agosto, 09:36

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