Pd verso la scissione, Renzi si dimette e punta alle primarie del 9 aprile

Lunedì 20 Febbraio 2017 di Alessandra Severini
Matteo Renzi e Michele Emiliano
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La rottura nel Partito democratico sembrava inevitabile eppure neanche ieri, al termine di un’assemblea tirata e nervosa, si è consumata. Certo, Roberto Speranza, Michele Emiliano e Enrico Rossi in serata hanno firmato un documento in cui evocano la rottura e ne addossano al segretario tutte le responsabilità. «Abbiamo atteso invano delle risposte, è ormai chiaro che è Renzi ad aver scelto la strada della scissione». Ed è vero pure che il leader del partito, parlando ai 637 delegati riuniti nella sala dell’hotel Parco dei Principi, ha fatto capire che non vuole allontanarsi dalla strada indicata: congresso lampo e primarie ad aprile, con la proclamazione del nuovo segretario ai primi di maggio. Ma la strada di ogni separazione, si sa, è lunga e dolorosa, lastricata da infinite accuse e continui ripensamenti. Così la rottura definitiva viene ancora allontanata.

Il divorzio è scelta rischiosa per tutte e due le parti e, come in ogni coppia, nessuno vuole assumersene le responsabilità. In assemblea, Renzi ha annunciato le sue dimissioni da segretario ma ha avvertito la minoranza: «Peggio della scissione c’è solo la parola ricatto, non si può bloccare un partito sulla base dei diktat». Sul palco la replica della sinistra dem è affidata a Guglielmo Epifani: «Noi ci aspettavamo una proposta, il segretario ha tirato dritto, ora faremo delle scelte». Pier Luigi Bersani, il volto contratto, lo sguardo cupo, non è intervenuto. Il documento firmato da Speranza, Rossi ed Emiliano a fine assemblea usa toni duri, sottolinea «l’ennesimo generoso tentativo unitario» snobbato dal segretario che ha deciso di «non replicare». Renzi sembra aver scelto la sua strada.

Non pregherà nessuno per rimanere, forte dell’appoggio dei big del partito, pensa che, senza minoranza, le primarie potranno essere fatte già il 9 aprile e lo riporteranno alla guida del Pd. E poco spazio elettorale resterà ad un’eventuale nuova forza politica, che comunque non potrà usare il simbolo del Pd. I ribelli dal canto loro alzano la voce ma rimangono incerti sul da farsi. Si sono dati ancora 48 ore per decidere, nell’attesa di una «mossa politica vera» da parte di Renzi. Se non ci sarà, nascerà un nuovo partito della sinistra. Si fanno già i conti: una quarantina di deputati alla Camera e una dozzina al Senato sarebbero pronti a costituire nuovi gruppi parlamentari. Il percorso immaginato dai bersaniani è una costituente di stampo ulivista in cui coinvolgere anche Giuliano Pisapia, gli ex di Sel e Sinistra italiana. Ma anche i ribelli faticano a restare uniti fra loro. Ieri per esempio Michele Emiliano è sembrato molto restio a lasciare, quasi disposto a fare un passo indietro per un accordo in extremis.
Ultimo aggiornamento: 15:15 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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