Francesco Talò e le dimissioni, il rapporto (mai decollato) con Meloni e la telefonata fake: cosa c'è dietro l'addio del consigliere

La prima "vittima" della truffa russa che ha scosso Palazzo Chigi è un pezzo da 90

Sabato 4 Novembre 2023 di Francesco Bechis
Francesco Talò e le dimissioni, il rapporto (mai decollato) con Meloni e la telefonata fake: cosa c'è dietro l'addio del consigliere

Chi lo ha sentito in questi giorni di passione lo racconta "affranto". Francesco Talò, il consigliere diplomatico di Giorgia Meloni che ieri mattina ha rassegnato le dimissioni dopo il polverone sulla telefonata fake della premier con due comici russi, mai avrebbe pensato a un epilogo così. E' stata una scelta di getto, la sua, maturata nella notte tra giovedì e venerdì. Una lettera scritta di pugno e fatta consegnare alla presidente del Consiglio: mi dimetto.

Il passo indietro

La prima "vittima" della truffa russa che ha scosso Palazzo Chigi è un pezzo da 90. Talò è un ambasciatore di lunghissimo corso, tra i più alti in grado, un passato recente alla guida di sedi prestigiose come Tel Aviv, in Israele, e Bruxelles, al comando Nato.

Lascia a fine carriera e quasi a fine mandato: a gennaio, forse a marzo con una proroga di cui si stava discutendo, sarebbe andato in pensione e Meloni avrebbe comunque dovuto cercare un nuovo consigliere per la politica estera. Ma un'uscita di scena così, Talò mai l'avrebbe immaginata.

La ricostruzione

E' stato l'epilogo obbligato di un grave episodio che ha travolto l'ufficio diplomatico della presidenza del Consiglio. Quella telefonata di fine settembre lunga 15 minuti, ma forse sono di più ed è stata tagliata, in cui la premier italiana si è convinta di aver parlato con il presidente dell'Unione africana Moussa Faki. E invece dall'altra parte della cornetta c'erano due noti comici e imitatori russi, Vovan e Lexus, che 44 giorni dopo hanno pubblicato la conversazione sul web.

Una burla, forse. O forse, questa è la convinzione di chi nell'intelligence italiana ben conosce il modus operandi dei due "comici russi" (tra le loro vittime illustri in passato il segretario della Nato Stoltenberg ed Henry Kissinger) e si è fatto tutt'altra idea della "burla", un atto di guerra ibrida contro il governo italiano per screditare la sua posizione (senza riuscirci, in questo caso) sulla guerra in Ucraina. Come che sia, l'incidente è stato un grave danno d'immagine per la premier, che in questi giorni di rabbia e sconcerto ha preteso il conto.

La catena di comando

Paga Talò, il suo ufficio ha peccato di "superficialità", ha tuonato ieri Meloni in una conferenza stampa dai toni durissimi. E paga forse anche per errori altrui, dicono in queste ore gli amici stretti dell'ambasciatore di lungo corso, molto stimato dalla macchina diplomatica, un veterano. Sì perché nella catena che ha portato la cornetta russa all'orecchio della premier più di un anello ha traballato.

Al di sotto di Talò, è il caso della responsabile per l'Area africana dell'ufficio diplomatico Lucia Pasqualini (in bilico anche lei, maligna ora qualcuno). E anche al di fuori: c'è chi guarda alla segretaria e fedelissima ombra della premier Patrizia Scurti, che della telefonata è stata messa al corrente. Ma Scurti è intoccabile, inamovibile per Meloni e chi le sta attorno. Insomma, il conto va a Talò ed è salatissimo. "Dopo 40 anni di carriera un epilogo così", mormora l'ambasciatore oggi ai suoi amici e colleghi più stretti.

Resta almeno l'onore delle armi concesso da Meloni di fronte ai cronisti ieri a un ambasciatore che "ha servito per decenni il Paese" e lo ha fatto riscuotendo stima trasversale. La verità di questo piccolo terremoto a palazzo, forse, è più semplice. Un errore umano, come capita spesso anche se non dovrebbe a quel livello. A Talò Meloni contesta in particolare "un" errore. La premier oggi si dice convinta di aver subito fiutato qualcosa che non tornava in quella strana telefonata con il presunto leader africano. L'accento russofono di sottofondo. Ma soprattutto, i continui riferimenti dell'interlocutore ad argomenti cari alla propaganda russa, gli strali contro l'Ucraina e il suo leader Volodymyr Zelensky.

Di qui la richiesta, una volta chiusa la telefonata, di un check ulteriore: "Siete sicuri di avermi passato la persona giusta?". E' qui, nelle ore e nei giorni successivi all'incidente, che l'ufficio diplomatico ha peccato di "sciatteria", come ha riconosciuto perfino il capo della diplomazia, il ministro Antonio Tajani. Niente allarmi, neanche un dubbio: per questo motivo, ha spiegato ieri Meloni, non è stata coinvolta neanche l'intelligence che viene attivata solo se c'è un sospetto concreto per la sicurezza nazionale.

Il dopo Talò

Con Talò l'addio è agrodolce. Come in parte è stata la convivenza a Palazzo Chigi con la premier. Segnata da reciproco rispetto, ma anche da due indoli molto diverse, perfino opposte. Il primo cauto, prudente, perfino puntiglioso, insomma diplomatico, letteralmente. Lei, Meloni, attenta sempre alla sostanza prima ancora che alla forma, abituata a scelte ponderate ma anche veloci, determinate. Di qui qualche incomprensione di fondo che ha segnato il cammino di questo diplomatico di rango, con grande esperienza (perfino come addetto alle politiche della cybersecurity della Farnesina).

E pensare che il cursus honorum di Talò mai come in questa fase sarebbe tornato utile: lui che era stato alla Nato e in Israele, mentre infuria la guerra in Ucraina e si infiamma la polveriera in Medio Oriente. Per lui adesso potrebbe aprirsi un nuovo percorso: la presidenza dell'Ispi, prestigioso e storico think tank, è un'opzione sul tavolo da mesi.

Intanto c'è una casella di peso da colmare a Palazzo Chigi: Meloni è una leader che sa scegliere da sé, ma un consigliere ci vuole in questi tempi di burrasca. Se non altro in vista delle tante e delicate missioni estere che attendono la premier: Berlino, Dubai, forse Parigi alla finale per Expo 2030, in prospettiva la presidenza italiana del G7. 

Ultimo aggiornamento: 7 Novembre, 10:10 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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