Fortuna, il procuratore Greco: «Pedofilo incastrato dalle intercettazioni»

Domenica 1 Maggio 2016 di Mary Liguori
Fortuna, il procuratore Greco: «Pedofilo incastrato dalle intercettazioni»

«Hanno manipolato le bambine, ma una volta fuori dal contesto familiare e, lontane dal degrado del Parco Verde, le piccole hanno riacquistato fiducia in se stesse e negli adulti: così abbiamo scoperto chi era pedofilo». A parlare è il procuratore di Napoli Nord Francesco Greco, che ha coordinato il pool che ha dato un nome al presunto assassino della piccola Fortuna. Procuratore Greco, una scia di abusi culminati nella morte di Fortuna, cosa ha provato mentre le indagini andavano avanti? «È innegabile che quando ci si trova di fronte situazioni che coinvolgono le più indifese delle vittime, ovvero i bambini, lavorare diventa molto duro».

Come avete scoperto quel contesto familiare blindato, finalizzato a proteggere i carnefici e zittire le vittime? «Prima ancora che l’autopsia sul corpicino della piccola Fortuna mettesse in evidenza gli abusi cronici, e dunque fin dalla primissima fase delle indagini, è emersa una rete di protezione scattata all’interno della famiglia a favore del vicino di casa. In particolare, questi tentativi erano finalizzati a limare i racconti della bimba di 11anni, amica del cuore di Fortuna e ultima a vederla in vita. La mamma e la nonna le suggerivano cosa dire e cosa tacere. Un condizionamento che voleva evitare che la piccola, testimone e a sua volta vittima dello stesso uomo, potesse dire cose importanti rispetto alla fine della sua amichetta. Questi tentativi saltano fuori dalle intercettazioni dalle quali si evincono le preoccupazioni rispetto all’eventualità che la bimba potesse dire cose compromettenti nei confronti del patrigno, visto che era proprio lei la depositaria degli ultimi momenti di vita di Fortuna. Sin da subito, dunque, siamo entrati in possesso di un consistente quadro probatorio, al quale mancava la chiave di volta, giunta quando la bimba, allontanata dai familiari, ha iniziato a raccontare tutto».

Come si fa a far parlare i bambini di esperienze così traumatiche? «Fuori dai condizionamenti e lontani da certi ambienti, i professionisti giusti, sia della casa famiglia che della procura, intavolano un percorso che tende al recupero del minore. È con il supporto degli psicologi e degli educatori che si raggiungono risultati di questo tipo, attraverso percorsi che ora devono andare avanti per il benessere dei minori coinvolti».

Lontani dal Parco Verde, dunque, dove la rete di protezione dei pedofili ha tenuto per mesi prima di venir forata dalle bambine, senza l’aiuto di nessun adulto. «Non solo un clima omertoso, ma il tentativo costante di depistare le indagini, come si evince dal caso della scarpetta fatta sparire».

Sarà un processo facile? «L’indagine ha esplorato una pluralità di aspetti che il gip ha riconosciuto validi, ma i magistrati sanno che nessun processo è semplice, tantomeno quello che coinvolge minorenni in qualità di vittime e testimoni».

E manca la prova schiacciante, il Dna... «Ma c’è una sorta di confessione implicita, l’indagato viene intercettato mentre si preoccupa che sul corpo di Fortuna possano essere trovate tracce del suo sudore».

Si aspetta che qualcuno degli adulti, a questo punto, collabori? «Non nutro grandi speranze in merito.

Se in certi quartieri lo Stato viene considerato un nemico, anche se arriva per tutelare i più indifesi, significa che in troppi hanno inteso ostacolare le indagini per puro spirito omertoso e, in un contesto del genere, è difficile trovare una sponda. Le indagini però non sono chiuse: le dichiarazioni false, così come i palesi tentativi di depistaggi, sono oggetto di approfondimento». Ora si potrebbe riaprire anche il caso del piccolo Antonio, caduto dallo stesso palazzo dal quale è precipitata Fortuna? «Non posso parlare di questo, il caso».

Ultimo aggiornamento: 14:09 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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