Francesco Pasinetti, il veneziano che cambiò il linguaggio del cinema

Lunedì 11 Settembre 2017 di Alberto Toso Fei
Illustrazione di Matteo Bergamelli
Francesco Pasinetti il cinema ce l'aveva dentro, proprio come Venezia, città cinematografica prima ancora che i fratelli Lumière inventassero il cinematografo. È forse la persona che più di altre, nel Novecento, ha cambiato la percezione della “settima arte”, da ripensare non solo come forma di intrattenimento, ma come linguaggio nuovo. Primo laureato in storia del cinema nel 1933, divenne uno dei più importanti esponenti della cinematografia italiana degli anni trenta e quaranta.
Diresse il Centro Sperimentale di Cinematografia, fondò e collaborò con diverse riviste di divulgazione cinematografica; promosse mostre e convegni sul tema e scrisse innumerevoli sceneggiature; diresse decine di documentari – specialmente sulla Venezia dell'anteguerra e dell'immediato dopoguerra – in cui la verità dell'immagine si sposa a una visione artistica superiore. Più in generale, riuscì a trasformare in professione quella che allora era ancora “solo” una passione di centinaia di persone.
D'altronde il suo eclettismo nell'universo dell'immagine non era per niente casuale: pur essendo figlio di Carlo Pasinetti, uno stimato primario ospedaliero, il suo retroterra era decisamente artistico: il nonno materno, Guglielmo Ciardi, era stato uno dei più importanti pittori paesaggisti veneti della seconda metà dell'Ottocento e la zia Emma, sorella della madre Maria, era anch'essa pittrice di valore che ebbe una forte influenza sul senso dell'immagine del nipote, specialmente dopo il 1928 (Pasinetti era nato a Venezia nel 1911) quando rimase orfano di madre.
Francesco Pasinetti trasferì dunque questa percezione artistica nella cinematografia e nella fotografia (è da poco uscito un volume su Pasinetti fotografo, “Questa è Venezia – 1943” curato fra gli altri da Alberto Prandi, docente di Storia della fotografia all'Università Ca' Foscari di Venezia, scomparso recentemente). Il fratello Pier Maria, fedele alla vena creativa familiare, diventò invece scrittore, sebbene in gioventù avesse seguito il fratello nella fondazione della società di produzione “Venezia Film” e scritto il soggetto dal quale fu tratto nel 1934 “Il canale degli angeli”, unico film che Francesco riuscì a girare.
Rispetto alla Mostra, sarà presenza critica all'inizio (non amava la mondanità che già permeava la rassegna dalle prime edizioni) ma poi organizzatore di sezioni collaterali e retrospettive e infine anima del rilancio nel dopoguerra. I suoi documentari raccontarono sempre una Venezia piena di vitalità, e ricevettero numerosi riconoscimenti. Fu anche autore e regista di teatro, collaborando con altri giovanissimi esordienti in ogni campo: da Renato Guttuso a Filippo De Pisis, che dipinsero gli scenari di alcune opere andate in scena al Teatro delle Arti di Roma, ad Anna Proclemer e Giulietta Masina, che recitarono in una sua opera messa in scena al Teatro dell'Università di Roma.
Il suo libro “Storia del cinema dalle origini ad oggi”, del 1939, è una pietra miliare nello studio della settima arte. Morì il 2 aprile 1949 a Roma a causa di una patologia cardiaca, a 38 anni, mentre stava realizzando un nuovo documentario (che fu completato da Michelangelo Antonioni). Da allora il Sindacato Giornalisti Cinematografici (di cui fu uno dei fondatori) assegna ogni anno il Premio Pasinetti. Una sala del Palazzo del Cinema a Venezia porta il suo nome, così come la videoteca cittadina che raccoglie e conserva il meglio della cinemografia.
 
Ultimo aggiornamento: 12 Settembre, 09:58 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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