Ius soli, sbagliato dividere il Paese tra buoni e cattivi

Martedì 20 Giugno 2017
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Egregio Direttore,
mi permetta di essere ancora una volta critico. Nella mia memoria di studente, un giornale era un mezzo di informazione. Ora non più, è la disinformazione che è diventata il fondo di commercio, di quasi tutti i media. Ius soli, è una parola latina di cui molti evidentemente non conoscono il senso. È un istituto giuridico di matrice anglo-sassone, applicato con un certo successo nel Regno Unito, negli Stati Uniti d'America, in Australia, in Nuova Zelanda e in Canada. In Italia che, come tutti sanno è la patria del diritto, non si applica lo ius soli, ma lo ius sanguinis. Con qualche eccezione, promulgata per legge. Per esempio matrimonio con un cittadino italiano. O a favore di cittadini europei dopo un lungo soggiorno in Italia o per i cittadini extra comunitari dopo dieci anni di residenza in Italia. Ora si prospetta una residenza un po' più corta, ma pur sempre di qualche anno per chi, nato in Italia da genitori stranieri ha studiato e acquisito una cultura italiana. Lo ius soli, non c'entra per niente. È solo lo spauracchio ventilato da tanti giornali che, manifestamente, non conoscono il latino e seguonociecamente i vari Salvini e Grillo che fondano la loro popolarità sulla paura della gente. Ma siamo poi proprio certi che lo ius sanguinis sia l'ideale? Vorrei sapere qual'è la percentuale di italiani implicati nel malaffare, nelle varie Mafie, Camorre e simili che non si riconoscono nello Stato Italiano e contro cui si battono, con un certo successo da più di 150 anni.


Antonio Seguso 
Lido di Venezia


Caro lettore,
lungi da me cimentarmi in una singolar tenzone sulla conoscenza della lingua latina. Ma non mi sembra ci siano dubbi sul fatto che in Italia oggi si stia discutendo una legge che regola lo ius soli, cioè il diritto ad ottenere la cittadinanza italiana in virtù del fatto di essere nati sul territorio del nostro Paese. La legge in discussione al Senato si differenzia dalle norme in vigore nei Paesi anglosassoni in quanto non prevede un automatismo tra nascita e cittadinanza, ma vincola la concessione della cittadinanza al fatto che almeno uno dei due genitori del bambino nato in Italia, viva legalmente nel nostro Paese da almeno 5 anni. Inoltre se il genitore non proviene dalla Ue deve fornire anche alcune garanzie di tipo economico e dimostrare di conoscere della lingua italiana. Per questo i giuristi, e non solo i giornali, parlano di ius soli temperato per differenziarlo dallo ius soli puro in vigore negli Usa o in Australia. La legge in discussione in Italia prevede in realtà anche un'altra strada che è quella del cosiddetto ius culturae: possono infatti chiedere la cittadinanza italiana anche i minori nati in Italia e che abbiano frequentato per almeno 5 anni la scuola italiana. 

Detto ciò, mi sembra sbagliata la piega che ha preso in Italia il dibattito sullo ius soli: non è giusto nè produttivo dividere il Paese tra buoni e cattivi su un tema così delicato e complesso come quello dell'immigrazione. Ha ragione il leader di Energie per l'Italia, Stefano Parisi - non esattamente un estremista-, quando afferma che per allargare le maglie della cittadinanza in un momento come l'attuale serve un alto tasso di coesione sociale: occorre cioè che gli italiani comprendano e condividano questa svolta. Già oggi il figlio di una coppia straniera nato in Italia, al compimento dei 18 anni, può chiedere di diventare cittadino italiano. Si può anticipare o modificare questo passaggio, ma occorre valutarne con attenzione i tempi, le conseguenze (anche dal punto della sicurezza) e l'impatto sull'opinione pubblica. In caso contrario si rischia di alimentare razzismo e intolleranze. Le leggi e le norme non sono giuste e sbagliate in assoluto. La loro efficacia e bontà dipende anche dai tempi e dai modi in cui vengono promulgate e applicate. E questo vale a maggior ragione quando si affrontano temi socialmente molto sensibili .
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