Nessun sensazionalismo sulle banche e non va fatta di tutta l'erba un fascio

Venerdì 21 Aprile 2017
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Egregio Direttore,
sono oramai più di 2 anni che il Suo Giornale si occupa del caso Veneto Banca e Popolare di Vicenza, cavalcando la comprensibile rabbia e smarrimento dell'opinione pubblica veneta e non solo. Non voglio addentrarmi nel merito della fondatezza o del sensazionalismo di tutto quanto è stato scritto o ancora, con scarso approfondimento, dare ampia risonanza a qualche sentenza favorevole ad un socio dimenticando di precisare che il verdetto è stato positivo solo perché la Banca aveva smarrito un documento ed il giudice non ha avuto altra scelta che dar ragione al ricorrente. Così facendo il suo giornale ha insinuato la (falsa) convinzione che chiunque possa adire le vie legali ed ottenere soddisfazione, mentre al contrario, in assenza di vizi formali (documenti o firme mancanti) la maggior parte dei ricorrenti soffrirà l'ulteriore smacco di perdere la causa e dover pagare le spese processuali (ho una laurea in materie giuridiche e ne capisco qualcosa).
In tutto questo lungo arco temporale, sulle Sue pagine non è mai stato dato il minimo spazio ad una categoria di persone che, se possibile, sta vivendo una situazione tra le più pesanti fra le vittime di questo scandalo finanziario: i Dipendenti delle Banche coinvolte. Oltre il 65% dei dipendenti delle Banche Venete è a sua volta azionista e spesso lo sono anche familiari ed amici. Ciò significa che la maggior parte dei dipendenti vive il disagio della perdita economica sui propri risparmi, il rimorso per aver coinvolto i congiunti, il senso di colpa per aver (suo malgrado) tradito la fiducia dei clienti ed ora anche il serio rischio di perdita del posto di lavoro senza responsabilità alcuna.
Da varie parti si è ripetutamente affermato che i dipendenti fossero collusi, consapevoli dello stato in cui versavano gli istituti e financo che ricevessero dei premi sul collocato: niente di più falso. Come in tutte le banche (ho avuto esperienze in altri 3 grandi gruppi bancari italiani), la pressione per la vendita dei prodotti della casa è un'assoluta normalità e riuscire a vendere è semplicemente fare il lavoro per cui siamo pagati. Come si può pensare che un dipendente, essendo a conoscenza di una situazione così precaria, non avrebbe lui per primo cercato di sbarazzarsi dei propri titoli o di quelli di familiari ed amici? Prova di questo si può riscontrare nella circostanza che le azioni legali intentate dai soci contro i dipendenti delle filiali sono state archiviate dai magistrati con la motivazione che il fatto non sussiste.
Ma a questo punto io mi chiedo: perché il Suo Giornale, smarcandosi dai luoghi comuni e sotterrando l'ascia di guerra, non intraprende un cammino costruttivo che possa favorire un rilancio di due aziende che possono e devono essere fondamentali per il futuro del territorio? Questo non significa assolutamente dimenticare fatti così gravi (non sarebbe possibile, né giusto), ma solo circoscrivere le responsabilità a chi è il vero autore ed artefice di quanto accaduto (le vecchie dirigenze e complici d'alto borgo). 
Sta a Voi, signori della carta stampata, decidere se sia il momento di cominciare a lavorare sulla ricostruzione per il bene di tutti gli interessi coinvolti o continuare con questo gioco al massacro privo di reali vie d'uscita.

Andrea Argentoni
Dipendente/Socio


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Caro lettore,
ciascuno è responsabile di quello che fa. Ma se questo vale per i dipendenti bancari, deve valere anche per i giornali. E allora diciamo che, per esempio, noi non abbiamo mai dato alcuna, particolare risonanza alla sentenza a cui lei fa riferimento. Forse altri lo hanno fatto. Non noi. Ma non voglio con ciò sfuggire al confronto. Lei ci accusa di cavalcare rabbia e smarrimento e ci invita a smarcarci dai luoghi comuni e a sotterrare l'ascia di guerra. Partiamo dal primo punto. Noi non abbiamo cavalcato ma dato voce, che è cosa ben diversa, alla rabbia e allo smarrimento di un territorio che è stato colpito duramente nei suoi interessi materiali e nel rapporto di fiducia che lo legava alle sue banche: i miliardi di euro andati fumo sono una tragica realtà, non un luogo comune. Abbiamo raccontato ciò che accadeva e cercato, con i mezzi a nostra disposizione, di spiegare origini e cause del disastro delle due banche popolari venete.

Se una colpa abbiamo non è quella di aver fatto sensazionalismo, ma di non aver capito per tempo ciò che stava accadendo in alcuni palazzi. Certo: non siamo stati gli unici. Anche istituzioni autorevoli che hanno il compito di vigilare e controllare non hanno dato grande prova di sè, ma anche noi potevamo fare meglio e di più. Una cosa è però sicura: non abbiamo mai fatto di tutta un'erba un fascio, nè colpevolizzato i dipendenti di Popolare Vicenza e Veneto banca. Ma continuiamo anche a pensare che se qualcuno, per il ruolo che ricopriva ai vertci degli istituti, ha maggiori responsabilità in ciò che è accaduto, c'è anche un vasto mondo che, a vari livelli e per anni, con il sistema delle popolari ha convissuto, spesso lautamente ricompensato, e fatto affari. E di autocritiche ne abbiamo ascoltate ben poche. Quanto all'ascia da sotterrare, mi dispiace: non combattiamo guerre e non abbiamo obiettivi da abbattere. Continuiamo a pensare che sentenze e condanne siano materia della magistratura, non dei giornali. L'unica battaglia che vogliamo combattere è quella per mantenere a Nordest una banca competitiva e credibile. Senza nasconderci che la strada per raggiungere questo obiettivo è ancora irta di ostacoli e passerà anche attraverso una dolorosa riduzione dei costi.
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