Fiction "Porta rossa" da bocciare: la Rai ignora la cultura triestina

Lunedì 20 Marzo 2017
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​Caro Gazzettino,
mi sono vista finora tutte le 5 puntate della fiction "La porta rossa” sempre sperando in un colpo d'ala o di originalità: invano. Che dire del “plot” scopiazzato malamente da “Ghost” e altamente prevedibile. Noia mortale: quello che però si deve dire a Lucarelli e Rigosi, autori e registi , ma avete fatto un minimo di studio e ricerca sull'ambiente prima di scrivere il soggetto? Se sì, sapreste che a Trieste quasi tutti i triestini e anche no, parlano dialetto, quello che parlava e scriveva James Joyce, pertanto come è possibile che il Cagliostro, nato a Prosecco e vissuto in città tutta la vita, parli con un pesante accento romanesco né gli scappi mai un'imprecazione in dialetto triestino?

Lo stesso vale per la tristissima Vanessa, cresciuta nel falansterio di Cattinara, per cui la parlata popolare dovrebbe essere la norma.
Ma questi attori un minimo di dizione, la dovrebbero studiare o no? L'ambientazione: Trieste sembra tutta una città di fantasmi. Sotto Natale infatti sappiamo bene che non c'è anima viva, in giro, e neppure nei caffè. Anche perché tutti si dovrebbero scansare all'arrivo del povero Cagliostro, dal momento che si è visto che non ha il dono dell'attraversamento della materia. Si sa anche che gli studenti (pochi e tristissimi) non sciamano ridendo e scherzando alla fine delle lezioni, da un'Università declassata a scuola superiore (di che cosa?). Altri personaggi di contorno, come il papà di Anna, certamente deve essere un alto burocrate piemontese ( mancandogli un minimo della tipica bonomia triestina) e che dire dell'imprenditrice (Donati?)? Non riconosco dei baccalà simili nelle imprenditrici nostrane. Insomma, con questa serie la RAI ha travisato e mistificato quello che è lo spirito di Trieste e dei suoi abitanti, traditi ancora una volta da chi ignora la sua storia e la sua cultura. Triestini se ci siete, battete un colpo!


Marisa Tonel
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