Brexit, la Gran Bretagna è fuori dall'Europa

Giovedì 23 Giugno 2016
Brexit, la Gran Bretagna è fuori dall'Europa
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La Gran Bretagna ha deciso: è fuori dall'Unione Europea. È stata una battaglia drammatica, all'ultimo voto, quella del referendum sulla Brexit. Ed è ancora più drammatico il risultato, che ha decretato vincitore il fronte degli euroscettici. Da quando le urne sono chiuse, alle 22 locali (le 23 italiane), ci sono stati continui capovolgimenti di fronte. Se i primi sondaggi davano infatti il "Remain" avanti (52% secondo YouGov, 54% secondo Ipsos Mori), i primi dati ufficiali scrutinati hanno ben presto frenato l'entusiasmo degli europeisti: la vittoria di Leave a Sunderland, prevista, ma più netta di quanto alcuni si aspettassero, si è unita al successo di strettissima misura dei voti pro-Ue a Newcastle, dove le attese erano di un margine superiore.

Man mano che le schede vengono scrutinate, i dati danno la Brexit sempre più vicina, tanto che dopo due terzi dello spoglio la Bbc ha diffuso la previsione della vittoria del Leave.


I seggi nel Regno Unito sono rimasti aperti dalle 7 per il referendum destinato a decidere della permanenza o meno di Londra nell'Ue. Al voto sono chiamati circa 46,5 milioni di elettori. Il quesito è secco: «Il Regno Unito deve rimanere un membro dell'Unione Europea o uscire dall'Unione Europea?». E le alternative erano due: «Remain» o «Leave», dentro o fuori.

I dati reali. Londra continua a imporsi come una roccaforte dei pro-Ue.

Secondo i dati parziali emersi finora, il 'Remain' è al 69% mentre il 'Leavè si ferma al 31%. E la scelta di restare in Europa, ad esempio, prevale nell'aristocratico quartiere di Hammersmith & Fulham, dove il 'Remain' trionfa al 70% mentre il 'Leavè si ferma al 30%.

Glasgow in soccorso dell'Ue: la grande città portuale scozzese vota al 66,6% per Remain, contro il 33,4% di Leave, facendo recuperare da sola al fronte pro-Ue circa 80.000 voti sui rivali.

Il mondo della finanza britannica, come previsto dai sondaggi, ha scelto con ampio margine di restare nell'Ue: il voto nel municipio della City of London è per il 75% per il Remain contro il 25% per il Leave.


Gibilterra ha scelto il Remain con una percentuale del 95,9% e un 4,1% per il Leave. L'affluenza alle urne nel territorio a sud della Spagna è dell'84%. Lo riferiscono le autorità di Gibilterra citate dalla Bbc.

A Newcastle, città nel nord-est dell'Inghilterra, il "Remain" ha vinto, ma di misura: 50,7% contro il 49,3% dei voti per il "Leave", con uno scarto di appena 2.000 voti in una città in cui hanno votato in 129 mila. Lo ha reso noto il comitato elettorale della città, che è uno dei centri di conteggio nazionali. Newcastle è la prima circoscrizione scrutinata in Inghilterra, area industriale del nord. Si tratta di una zona a tradizionale prevalenza di elettori laburisti e il dato conferma quindi il peso apparentemente determinante del Labour di Jeremy Corbyn nel risultato del referendum di stanotte. Più scontate le vittorie Remain a Gibilterra e nelle isole Orcadi scozzesi.

Nella città industriale di Sunderland, sulla costa del nord-est dell'Inghilterra, il fronte del Leave ha vinto con 82.394 voti (61,3%) contro i 51.930 voti (38,7%) per Remain. Lo dicono i dati ufficiali annunciati dalle autorità elettorali.

Nel primo collegio dell'Irlanda del Nord dal quale emergono i dati ufficiali, il collegio di Foyle, il «Remain» stravince al 78,3% mentre il "Leave" si ferma al 21,7%. È quanto scrivono diversi media britannici.

Leave ha vinto anche a Swindon, nella contea del Wiltshire, nel ricco sud-ovest dell'Inghilterra, con una percentuale del 55% contro il 45% di Remain. Lo dicono i risultati ufficiali.

A Basildon, sobborgo dell'Essex alle porte dell'East End di Londra, il Leave ha stravinto con il 67,2% contro il 33,7% per il Remain. Lo dicono i risultati ufficiali.


L'affluenza. Dai primi dati ufficiali l'affluenza alle urne del referendum sulla Brexit è attorno al 70%, inferiore alla stima fatta in precedenza da Sky News, che era dell'83,7%. È quanto emerge dai risultati delle circoscrizioni scrutinate fino a questo momento.

L'affluenza è stata comunque alta a dispetto del maltempo che ha colpito Londra e l'Inghilterra sud-orientale. Addirittura alcuni elettori non sarebbero riusciti a votare a causa delle code ai seggi, nonostante si fossero presentati con la scheda elettorale in tempo. Fra le ragioni della serie di disguidi ci sono state le piogge torrenziali che hanno colpito nelle ultime ore il sud dell'Inghilterra e causato forti disagi e ritardi nei trasporti pubblici. Molti pendolari sono arrivati a casa troppo tardi per poter andare al loro seggio.

Il premier. «Grazie a tutti quelli che hanno votato per mantenere la Gran Bretagna più forte, più sicura: starà meglio in Europa». È il tweet del premier britannico David Cameron che ringrazia anche le centinaia di attivisti della campagna per il Remain in tutto il regno. Una vittoria del "Remain" segnerebbe un risultato straordinario per Cameron: una lettera firmata da 84 deputati conservatori, i cui due terzi sono sostenitori della campagna Leave, è stata inviata al premier David Cameron chiedendo di restare in carica qualsiasi sia il risultato del referendum sulla Brexit. Ne dà notizia Sky News. Tra i firmatari l'ex sindaco di Londra Boris Johnson, tra i protagonisti della campagna per il 'leavè, è tra i firmatari della lettera con cui 84 deputati conservatori hanno chiesto a David Cameron di rimanere premier, qualunque sia l'esito del referendum sulla Brexit. Lo riferisce la Bbc.

La campagna. «Votate Remain, così i nostri figli e nipoti avranno un futuro più brillante», ha twittato il premier britannico David Cameron dopo aver votato, insiem e con la moglie Samantha, in favore della permanenza della GranBretagna nell'Ue. 

Una Brexit «rappresenterà una svolta nella storia del nostro paese» e sarà «un trionfo per la democrazia: ne è convinto invece l'ex sindaco di Londra, Boris Johnson, uno dei portavoce della campagna a favore del Leave. In una intervista esclusiva al Telegraph online Johnson sostiene che fuori dall'Ue la Gran Bretagna «diventerà molto più ricca» e si dice pronto a sacrificare la propria carriera in cambio di una Brexit.

Il futuro dell'Europa insomma è affidato agli umori e ai malumori dei britannici. Le ultime cartucce di una campagna elettorale al veleno, più emotiva che ragionata, sono state sparate ieri. In primo luogo dai due dioscuri-rivali dei Tory: il premier David Cameron, campione della campagna per restare nell'Ue, e l'ex sindaco di Londra Boris Johnson, l'uomo bandiera dell'uscita sui media, ma anche il pretendente ombra alla poltrona di Downing Street. 

Cameron, colui che a questo referendum ha aperto le porte per calcoli di politica interna, ha rivolto i suoi appelli finali in una raffica di interviste sui giornali, ma anche fra la gente nel suo collegio elettorale nell'Oxfordshire e fra i giovani di una scuola, la generazione che potrebbe avere più da perdere dal taglio netto: la Gran Bretagna - ha insistito come in un mantra - è e sarà «più prospera, più forte e più sicura» se resta «in un'Unione Europea riformata». Ma lui è pronto ad «accettare le istruzioni del popolo», ha aggiunto. 

Lontano politicamente mille miglia, ma sulla stessa barca di Remain, anche il leader radicale del Labour, Jeremy Corbyn, si è fatto sentire. Per dire no alla Brexit: «Votiamo Remain per difendere i posti di lavoro e i diritti dei lavoratori», ha detto, per poi «cambiare l'Europa da dentro». Il tentativo delle ultime ore dei filo-Ue è stato quello di inchiodare i rivali di Leave - concentrati nelle ultime settimane a cavalcare un dossier ad alto tasso di populismo come quello del contenimento dell'immigrazione - alla piattaforma «estremista» di Nigel Farage: il tribuno dell'Ukip, che del divorzio da Bruxelles ha fatto una ragione di vita e che ieri (incoraggiato da alcuni degli ultimi sondaggi che indicano un testa a testa, ma con un leggero vantaggio per Leave) affermava di sentire «profumo di vittoria».

I conservatori euroscettici guidati da Johnson e dal ministro della Giustizia Michael Gove hanno provato al contrario a prendere le distanze dallo scomodo compagno di viaggio e, almeno negli ultimi giorni, ad abbassare un po' i toni: specialmente dopo l'uccisione di Jo Cox, la deputata laburista paladina dei migranti e dell'integrazione europea che proprio stasera, nel giorno in cui avrebbe dovuto compiere 42 anni, è stata commemorata a Trafalgar square, nello
Yorkshire e in varie città del mondo in un clima di commosso omaggio alla sua figura e alle sue idee.

Ieri Johnson, scendendo dal bus a bordo del quale ha fatto campagna in giro per il regno, ha negato ancora una volta di aver strizzato l'occhio agli slogan dell'Ukip, men che meno di aver alimentato un clima «di odio» nel Paese, come gli ha rinfacciato ieri in un ultimo dibattito tv alla Bbc il suo successore sullo scranno di cittadino di Londra, Sadiq Khan, laburista e figlio d'immigrati. «Non è vero, io faccio leva sull'ottimismo riguardo al futuro della Gran Bretagna e della sua gente», ha ribadito stasera il biondo ex sindaco: uscire dall'Ue significa solo «riprendere il controllo dei nostri commerci, dell'immigrazione e della nostra democrazia». Ma alla fine non ha mancato di adottare la medesima parola d'ordine di Farage, invocando il sogno di un «Independence Day» del Regno Unito  («assurdità», ha replicato Cameron). 

I numeri-simbolo degli schieramenti opposti restano intanto due: per Remain le 4300 sterline all'anno che ogni famiglia britannica perderebbe per le conseguenze di un'eventuale Brexit; per Leave i 350 milioni di sterline che la Gran Bretagna risparmierebbe alla settimana. Due cifre entrambe discutibili: la prima perché puramente ipotetica, la seconda perché calcolata senza troppi scrupoli al netto degli enormi profitti che l'isola ricava dall'appartenenza al club dei 28. 

Profitti di cui si mostra consapevole se non altro una parte significativa del mondo degli affari del regno, come conferma l'appello in extremis pubblicato sul Times da 1.285 top manager di altrettante aziende britanniche (1,75 milioni di lavoratori in totale) secondo i quali restare nell'Unione «è buono per il business, è buono per l'occupazione, è buono per il Paese». Convinzione condivisa fino all'ultimo dai responsabili di istituzioni finanziarie e governi occidentali, incluso Matteo Renzi, autore di una lettera aperta ai britannici sul Guardian.

Ultimo aggiornamento: 24 Giugno, 08:20 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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