Oltre i diktat Ue/ La strada da ripensare per la svolta ecologista

Domenica 4 Febbraio 2024 di Giuseppe Vegas

Prima o poi doveva succedere.

La rivolta dei trattori non rappresenta altro che la prova generale di quello che si sta profilando all’orizzonte. In realtà, almeno per quanto riguarda il nostro Paese, stiamo assistendo ad un altro episodio significativo: la paventata chiusura di parte degli stabilimenti di produzione delle automobili dell’ex Fiat, oggi Stellantis. Fenomeni diversi, ma che hanno alla base, almeno come motivo prevalente, la medesima causa. La scelta politica di aver disegnato un mondo futuro senza aver tracciato la strada corretta per arrivarci.


Vediamo i fatti. Innanzitutto, a differenza del passato, la protesta degli agricoltori che è esplosa negli ultimi giorni non costituisce il sintomo di un disagio nazionale, ma di una comune preoccupazione europea. Significativa è la circostanza che i trattori siano comparsi prima in Germania, paese tradizionalmente poco avvezzo alle forme di protesta, poi in Francia, in Italia, in Belgio, Olanda, Romania, Polonia e Spagna, via via fino a Bruxelles, individuando nelle autorità europee la vera causa dei loro disagi. Tanto più significativa, in quanto al coro delle lamentele e delle contestazioni si sono anche uniti quei paesi che hanno tratto e continuano a trarre i maggiori vantaggi dalla politica agricola europea, la PAC, che ancor’oggi vale circa un terzo del bilancio complessivo dell’Unione. Le motivazioni della protesta sono molteplici.

Vanno dalle trattative col Mercosur, che consentirà di accrescere le importazioni di prodotti agricoli dall’America meridionale, al graduale abbandono delle agevolazioni sul prezzo del gasolio, al rincaro dei fertilizzanti, al divieto dell’utilizzo degli insetticidi e degli antiparassitari chimici, a differenza del resto del mondo. A ciò si aggiunge il timore che la prossima apertura della UE all’Ucraina possa sconvolgere il mercato interno di cereali e zootecnia, creando un fenomeno di concorrenza sleale. Infine, solo per limitarsi ai problemi più evidenti, la normativa ambientale imporrà un uso meno intensivo della terra: il buongiorno si è già visto con l’obbligo di lasciare incolto il quattro per cento dei campi, e con le limitazioni all’allevamento di animali.
Tutti sappiamo che il nostro futuro è condizionato dalla risposta che daremo ad alcuni temi centrali, dall’apertura dei mercati al Green Deal. Si tratta di obiettivi irrinunciabili per lo sviluppo economico del nostro continente e per la salvaguardia dell’ambiente dell’intero globo. Ma non basta enunciare un problema per risolverlo. Occorre individuare la strada per arrivarci e soprattutto cosa è necessario dare in cambio per ottenere il risultato. Non è possibile fare calare dall’alto sulla testa delle persone la prospettiva di un futuribile mondo nuovo, che difficilmente potranno comprendere ed apprezzare se l’unico effetto che possono valutare nell’immediato è il peggioramento delle loro condizioni di vita.


D’altra parte, non si tratta di temi limitati al mondo agricolo. Guardando alla realtà italiana e, ad esempio, ad un settore completamente diverso come quello dell’automotive, la paventata chiusura degli stabilimenti che non saranno riconvertiti all’elettrico rischierà di lasciare a casa circa 43 mila lavoratori del gruppo, oltre alle ripercussioni sull’indotto. Ma, anche in questo caso, si tratta di un problema che nasce in un singolo Paese, ma che è destinato ad allargarsi a macchia d’olio nel resto d’Europa. Siamo entrati in una “selva oscura che la diritta via era smarrita” ed oggi la percorriamo con passi incerti ed incedere ambiguo, avendo contezza solo di una cosa, che non si può più tornare indietro. Bramiamo di “riveder le stelle”, ma non sappiamo come si snoda il percorso che ci attende. O, meglio, lo sappiamo benissimo, ma non abbiamo il coraggio di rivelarlo neanche a noi stessi.


Sappiamo che la transizione comporterà costi impegnativi. Sia sotto il profilo economico, sia soprattutto sotto quello umano. Ma sappiamo anche di non disporre delle risorse necessarie e di non aver preparato i nostri cittadini ad affrontare i rischi del futuro. E allora andiamo avanti a tastoni. Una cassa integrazione oggi, una statalizzazione di un’impresa domani, una retromarcia su qualche misura, come quella sulla messa a riposo dei campi, dopodomani, una dilazione, ad esempio sul costo del gasolio, tutti i giorni. Ma in questo modo gli obiettivi diventano man mano più lontani e incerti, grazie anche al fatto che le interruzioni nel percorso hanno come primo fondamentale effetto quello di rendere il traguardo finale sempre meno realistico e comprensibile agli occhi dell’opinione pubblica. Oltre a scatenare una lotta intestina tra tutti coloro che sperano di evitare danni e di scaricare sugli altri il costo dell’operazione. Con la conseguenza che i governi saranno chiamati a far fronte in modo disordinato a crescenti malumori e resistenze e, come dimostrano i fatti, nessuno di essi è in grado di resistere al furor del popolo.


Per la prima volta la protesta si è fisicamente manifestata di fronte al parlamento europeo, considerato come il vero responsabile di una crisi che investe l’intero settore. Ciò, malgrado il fatto che i problemi dell’agricoltura siano spesso differenziati da Paese a Paese. Ma se la colpa è ascritta a Bruxelles, i rimedi devono essere trovati da ogni Stato. Tuttavia, i governi non hanno, singolarmente presi, le risorse e la lucidità sufficienti per affrontare i temi della trasformazione del nostro mondo e, in mancanza di un approccio razionale e coordinato tra loro che evidenzi un disegno politico coerente, non sono in grado di resistere alle pressioni delle categorie produttive. Sperano di guadagnare tempo e di trovare nell’Unione il soggetto pensante ed unificante, in grado di definire un percorso realistico per affrontare l’attuale situazione di stallo. Ma l’Unione si trova già a dover far fronte agli effetti di due guerre in corso, ai rischi del canale di Suez, ai rapporti con la Russia e all’abbandono dell’ombrello protettivo degli Stati Uniti. Fino ad oggi ha preferito viziare i suoi cittadini facendo credere loro di vivere in un’area protetta e lontana dai mali del mondo. È giunto il momento di parlar chiaro agli europei.
 

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