Sul fumo serve una tassazione in linea con l'Europa

Martedì 23 Maggio 2017 di Paolo Liberati* e Massimo Paradiso**
sigarette
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Molte ipotesi discutibili si rincorrono in questi giorni sulle possibili modifiche della tassazione delle sigarette. Senza che però siano chiariti almeno tre aspetti essenziali, riconducibili alla necessità di disegnare un sistema di tassazione volto preminentemente alla tutela della salute senza trascurare gli obiettivi di gettito e gli effetti sul funzionamento del mercato dei tabacchi.

Il primo. In Italia, al fine della tutela della salute, alle sigarette di prezzo non superiore a 4,40 euro è imposto un Onere Fiscale Minimo (OFM) – pari agli importi dell’accisa specifica, della componente ad valorem e dell’Iva - che di fatto costituisce un onere fiscale totale oltre al quale nulla è dovuto. Si tratta inoltre di un onere che non varia al variare del prezzo medio ponderato (PMP), che invece produce un effetto moltiplicativo sull’onere fiscale totale per le sigarette di prezzo superiore a 4,40 euro, generando ogni anno aumenti automatici di tassazione. Ne consegue una tassazione strutturalmente duplice: cioè fissa per le fasce di prezzo più basse, mentre è quasi completamente proporzionale al prezzo per quelle medie e alte, a causa dell’alto peso della componente ad valorem. Un punto, quest’ultimo, su cui siamo molto distanti dall’Europa.

Le conseguenze di questa duplicità sono evidenti. Nel 2016, l’aumento del PMP ha causato un aumento di 0,54 euro/kg dell’accisa specifica, gravante sulle classi di prezzo media e alta, quelle al di sopra dell’Onere Minimo. Si è quindi ritenuto che per riallineare il peso della tassazione sul segmento soggetto a OFM fosse sufficiente aumentarlo di 0,54 euro/kg (da 170 a 170,54 euro/kg). Ma si tratta di una equivalenza che non considera il reale onere fiscale complessivo a invarianza dei margini di profitto dei produttori e dell’impatto fiscale sui prezzi per i consumatori. Nel 2016, l’intervento fiscale ha generato un aumento di 1 centesimo di Euro a pacchetto al di sotto dell’OFM, per le sigarette nella fascia di prezzo bassa, e di 5 centesimi di Euro a pacchetto al di sopra dell’OFM, per le sigarette nella fascia media e alta. Questo aumento disallineato ha causato un ampliamento del divario tra i prezzi delle sigarette in fascia alta e in fascia bassa. E’ dunque evidente l’inadeguatezza dell’ipotesi che l’aumento dell’OFM possa essere semplicemente pari all’aumento dell’accisa associato alla variazione del PMP.

Nel 2017 si sta incorrendo nello stesso errore. Poiché l’adeguamento del PMP ha provocato un aumento dell’accisa specifica di ulteriori 0,38 euro/kg, con un impatto sui prezzi medi e alti di 4 centesimi di euro a pacchetto, si propone – al fine di riallineare la tassazione – di aumentare l’OFM in misura corrispondente. Per le ragioni esposte in precedenza, l’aumento dell’OFM di 0,38 euro/kg sarebbe evidentemente inadeguato, avendo come indesiderabile conseguenza quella di favorire l’ulteriore spostamento del consumo verso sigarette a più a basso prezzo, compromettendo gli obiettivi di gettito e sanitario.

Se si considera il reale carico fiscale totale sulle diverse classi di prezzo, l’onere fiscale è aumentato di circa 4 euro/kg per le classi di prezzo media e alta dal 2015 ad oggi, di soli 0,54 euro/kg per la classe di prezzo al di sotto dell’OFM. Nello stesso arco di tempo, la dinamica dei prezzi è stata più molto più elevata nelle classi di prezzo media e alta, rispetto a quanto avvenuto nelle classi di prezzo più basse, con conseguente maggiore aggravio per quella fascia di consumatori. Allo stesso tempo, il 2016 ha fatto registrare un calo di gettito, a causa del rallentamento dei prezzi e dell’incentivo allo spostamento dei consumi verso sigarette di più basso prezzo.

L’aumento dell’OFM consentito dalla delega (5 euro/kg) sarebbe quindi necessario e pienamente giustificato, poiché andrebbe nella direzione di favorire il riallineamento dell’onere fiscale su tutte le classi di prezzo e su tutti i produttori e i consumatori. Ancora meglio sarebbe, in una prospettiva di riforma, introdurre un meccanismo automatico che colleghi stabilmente l’onere fiscale minimo al PMP, in modo da garantire un allineamento annuale dell’onere fiscale totale in ogni classe di prezzo. Ciò è, ad esempio, quanto già avviene in Germania, dove per legge l’onere fiscale minimo è aggiornato annualmente ed in maniera automatica, al 100% dell’onere fiscale totale sul prezzo medio.

Il secondo aspetto da chiarire riguarda la necessità che all’intervento sull’onere fiscale minimo siano associate anche modifiche significative del livello della accisa specifica e ad valorem. Si tratta di avvicinare la struttura italiana dell’accisa a quelle degli altri paesi europei, oltretutto accogliendo i suggerimenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. È il caso di ricordare che è la componente specifica dell’accisa quella in grado di agire sulle quantità consumate di sigarette, al fine della tutela della salute. Non deve quindi sorprendere che il peso di questa imposta sia decrescente al crescere del prezzo, essendo caratteristica connaturata alla sua funzione quella di essere crescente al crescere delle quantità. E poiché è la quantità di sigarette la variabile cui è legato prevalentemente il danno da fumo, si comprende il motivo della insistenza a favore della accisa specifica da parte della Organizzazione Mondiale della Sanità, dell’Europa e naturalmente di tutti gli studiosi i quali ne abbiano compreso funzionamento e finalità. A meno di non voler assicurare pacchetti di sigarette a buon mercato ai fumatori nelle classi più basse di reddito, generalmente più giovani e meno informati sui danni da fumo.

In Italia, il peso dell’accisa specifica è invece il più basso in Europa, mentre quello della ad valorem è tra i più alti. Un adeguamento alla media europea richiederebbe da subito incrementi rilevanti dell’accisa specifica, che certo non potrebbero realizzarsi ipotizzando – come è stato suggerito – di legare la dinamica dell’accisa al tasso di inflazione: per avvicinare l’Italia all’Europa, ad un tasso di inflazione del 2,1% annuo (come nel 2016), occorrerebbero circa 70 anni.

Il terzo aspetto è un richiamo al buon senso. Sarebbe tempo che la tassazione del tabacco sia sottratta alla improvvisazione ed alla confusione di finalità. L’accisa sulle sigarette non deve occuparsi esclusivamente di garantire il gettito di volta in volta richiesto per soddisfare le necessità più varie del bilancio pubblico; non deve garantire ai produttori spazi di manovra incongruenti con gli obiettivi di gettito e di salute pubblica; non deve occuparsi dell’accessibilità del pacchetto ai fumatori meno abbienti, semmai deve tutelarne la salute limitando il consumo di sigarette.

Basterebbe, e non sarebbe poco, che in Italia si procedesse ad una riforma che sia consapevole degli effetti complessi della tassazione dei tabacchi dal lato della domanda e dell’offerta, che armonizzi l’Italia al resto d’Europa, bilanciando finalità di gettito e di tutela della salute.

*Università di Roma Tre
**Università di Bari
Ultimo aggiornamento: 17 Ottobre, 17:48 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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