l Superbonus potrebbe cambiare ancora.
Reddito di cittadinanza dimezzato e superbonus tagliato al 65%. Manovra, il piano del nuovo governo
Superbonus, ecco cosa cambia
In pratica, si potrebbe applicare una deduzione più alta nel caso di ristrutturazione della prima casa, rigorosamente non di lusso, e più bassa sulla seconda. O si potrebbe correlare l'entità del bonus al reddito del proprietario, anche se in questo caso bisognerebbe distinguere, ad esempio, tra reddito vero e proprio e patrimonio immobiliare. L'obiettivo rimane comunque quello di continuare ad incentivare la transizione energetica degli edifici in chiave di sempre maggiore sostenibilità, spiegano le fonti, specificando che questa logica sarà alla base di ogni provvedimento.
Se il Superbonus rappresenta infatti la questione da affrontare con più urgenza - tutelando in ogni caso le situazioni aperte in modo da non pregiudicare famiglie e imprese già impegnate - nel tempo dovrà essere riordinata tutta la materia dei bonus all'edilizia, dalle facciate al sismabonus. Il settore continuerà ad essere sostenuto, viene assicurato, ma, partendo dalle reali ricadute economiche, bisognerà cercare di rendere i meccanismi più appropriati, in uno sforzo anche di «responsabilizzazione» di famiglie e imprese.
La revisione del 110% potrebbe trovare spazio nella prossima manovra, in cui dovrebbe arrivare un segnale anche sul cuneo fiscale. Non cancellando ma riducendo il reddito di cittadinanza, che il centrodestra vorrebbe ridefinire come una forma «più puntuale» di assistenza, si creerebbero infatti gli spazi per prorogare il taglio di due punti deciso dal governo Draghi (al costo di circa 4,5 miliardi l'anno) e forse anche per finanziare qualcosa in più. FdI ha inoltre come obiettivo dichiarato quello di introdurre il più presto possibile anche la cosiddetta flat tax incrementale sui redditi aggiuntivi rispetto all'anno precedente. Una misura non troppo difficile da finanziare, e quindi da inserire nella prossima legge di bilancio, considerando che non creerebbe un buco da coprire con nuove risorse, ma eventualmente solo un mancato nuovo incasso.
Tutto da definire invece il capitolo pensioni. A gennaio 2023 scatta la rivalutazione degli assegni, il cui costo dipende dall'indice Ipca a cui verranno agganciati. L'anticipo di tre mesi scattato a ottobre, di due punti percentuali, è costato circa 1,5 miliardi: se lo si mantenesse così servirebbero 6 miliardi per un anno, ma con la corsa inarrestabile dei prezzi, il conto dovrebbe salire e non di poco. Nella Nadef l'inflazione programmata è infatti prevista al 7,1% quest'anno e al 4,3% l'anno prossimo. C'è poi la necessità, tutt'altro che indifferente, di trovare un'alternativa per evitare il ritorno dal 2023 della legge Fornero.